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venerdì 12 dicembre 2014

Aeurtum - The Depths of Which These Roots Do Bind

#PER CHI AMA: Death/Doom, Saturnus
Birmingham da sempre è indicata come essere una delle città di riferimento della scena hard rock, al pari di Liverpool. Se quest'ultima è famosa per aver dato i natali ai Beatles o più recentemente a Carcass e Anathema, Brum non può esserlo da meno, visto che Led Zeppelin, Black Sabbath, Judas Priest e Napalm Death (mica poco) nascono qui, giusto per citarne qualcuno. Oggi tra la folta schiera di band che fioriscono nel West Midlan, annoveriamo anche gli Aeurtum, che con 'The Depths of Which These Roots Do Bind' giungono a distanza di due anni da 'The Fall', al traguardo del secondo disco. La band non è altro che il solo progetto di tal Jonathan Collins, factotum musicale, qui coadiuvato da alcuni ospiti, tra cui, immagino anche la sorella, Alice Collins, che presta i suoi soavi vocalizzi nell'eterea e ingannevole opening track. Ingannevole per la leggerezza e sensualità che la contraddistingue, e che verrà spezzata dall'oscurantismo sonoro di "Antithesis", la song che traccia il percorso musicale che gli Aeurtum intendono tracciare, un death doom dalle cupe linee progressive. Virtualmente influenzato dagli esordi del trittico Anathema, My Dying Bride e Paradise Lost e dagli ormai immancabili Saturnus, Jon esibisce tutto il suo armamentario sonoro alla ricerca di uno stile che sia in grado in primis di catturare l'emotività dell'ascoltatore e direi che le chitarre solistiche riescono in pieno in questo proposito. In secondo luogo, credo che il mastermind britannico voglia buttar fuori, attraverso la propria musica, quel nichilistico senso di perdita che ne avvinghia l'animo inquieto. Il risultato non è certo dei più facili da assimilare, anzi talvolta risulta ostico da digerire, segno comunque di una ricerca sonora quanto mai scontata. Citavamo i gods del passato dai quali Jon prende spunto, e da qui si allontana cercando di inseguire e definire un proprio personalissimo sound che trova sfogo nei malinconici fraseggi di "Within the Ashes of the Deadwood" (ove di nuovo Alice presta la sua voce, cosi come pure nella title track) che apre con un classico riffing doom che si rifà proprio ai già citati Black Sabbath, mentre i vocalizzi del frontman si muovono tra il growling viscerale (un must per il genere) e qualche urlo demoniaco, che sinceramente avrei omesso. La ritmica è abbastanza andante, ma tenete presente che si muove più verso il fondo (dell'anima?) che in estensione, anche se "Shade of a Behemoth" gode di una certa dinamicità che non ne guasta affatto la riuscita; tra l'altro fa capolino in questa song anche un cantato in sussurrato. Lontano dagli estremismi funeral, 'The Depths of Which These Roots Do Bind' è un lavoro che offre una valida alternativa alle cavernose band provenienti dall'est Europa, un disco che va ascoltato e ascoltato più volte, per poter solo lontanamente carpire il poliedrico e intimistico mood di Mr. Collins, che trova modo di sfogare la propria rabbia nella selvaggia "…of Ebony Branches & Bone" per poi rabbonirsi (relativamente) nella successiva title track, in cui sembra vedersi un pizzico di luce in più negli occhi del bravo Jonathan, sensazione confermata anche dall'ascolto dell'ultima lunghissima e quasi spensierata, "Frozen into the Grain" (alla fine la mia preferita), che degnamente conclude un disco che apprezzerete di sicuro solo dopo alcuni svariati passaggi nel vostro lettore. Per molti ma non per tutti. (Francesco Scarci)

(Insidious Voices - 2014)
Voto: 75

giovedì 11 dicembre 2014

Polaroids - I Still Have Dreams/In My Past Life


#PER CHI AMA: Hardcore, Ska Punk, Emo
Basta ascoltare "Fort Knight", 1’:39’’ di furioso hardcore punk melodico, per capire da dove arriva il nome della band: quelle dei Polaroids, infatti, sono istantanee di vita quotidiana, che riescono a catturare sguardi, espressioni, colori ed emozioni in modo estremamente diretto e sincero. Il loro primo album 'I Still Have Dreams' si compone di 10 brani veloci, potenti ed emozionanti. Lo stile oscilla di continuo tra l’hardcore e lo skate punk melodico, che spesso vanno a braccetto nei pezzi più “lunghi” (solo 3 su dieci superano i tre minuti, e altri 3 non arrivano a completare il secondo giro di lancette), sposando vocals strozzate in stile quasi screamo ad altre invece più pulite e ariose (come nell’ottima "Red Herring"). Quando poi schiacciano forte sul pedale dell’intensità emotiva, complici testi densi e tormentati, riescono a cambiare marcia e allora è davvero difficile rimanere indifferenti di fronte a "Soul Mates", la sofferta "Immigrant Song pt.II", "Blue Period" o "Rearview". C’è anche spazio per la splendida strumentale "Somnia", che chiude come meglio non si potrebbe un disco intenso. L’Ep 'In My Past Life', uscito all’inizio del 2014, non sposta la questione e regala un’altra decina di minuti (per 4 tracce) di hardcore e struggimenti post-adolescenziali da cameretta. Questi ragazzi del New Jersey suonano con una passione che traspare da ogni piccolo particolare, a partire dall’artwork dei loro CD-r, realizzati come se fossero delle vere e proprie fotografie Polaroid e riccamente corredati di testi e informazioni, il tutto in perfetto stile DIY. La cura del dettaglio è poi evidente anche nella loro musica, registrata benissimo, e nella varietà della strumentazione usata, che arricchisce il suono in densità e profondità, un suono che si stratifica sovrapponendo chitarre elettriche e acustiche, percussioni, pianoforti, perfino un contrabbasso. Impossibile non guardare benevolmente a realtà come queste, dove l’amore per la musica è talmente evidente da risultare commovente. Impossibile non volergli bene. (Mauro Catena)

(Self - 2013/2014)
Voto: 70

mercoledì 10 dicembre 2014

Endname - Demetra

#PER CHI AMA: Post-metal, Doom, Ambient
Un disco concettualmente diviso a metà: due lunghe tracce da una parte, due dall’altra, come suonate da band differenti (sono quattro tracce, ma è un full-lenght vero e proprio: l’intero lavoro dura quasi 45 minuti). I russi Endname sono in grado di mescolare ingredienti estremamente diversi in un unico flow strumentale che, strano ma vero, fila via dritto come un missile. 'Demetra' si apre con “Duplication of the World”: pesante e ossessiva, delirante nei tempi dispari, carica di intensità doom. A seguire “Union”: la traccia più complessa, dove distorsioni e ritmiche si inseguono per quasi 12 minuti di oscurità e groove, tra crescendo e calando di pulsazioni metalliche e sonorità nerissime. Ce ne sarebbe abbastanza per fare un EP, catalogabile banalmente come post-metal strumentale. Ma gli Endname osano di più e si avventurano in territori completamente diversi. La seconda parte del lavoro si apre con una lunghissima (17 minuti) suite ambient, “Forest”. Emerge il lato riflessivo e inquieto del terzetto di Mosca: campioni elettronici, suoni sottili, lunghi respiri del vento. La foresta è buia e avvolta nella nebbia, siamo soli nell’oscurità e qualcosa di terrificante sta per accadere. È “DOTW RX”: come un mostro che emerge dalla notte, gli 8 minuti della traccia di chiusura sono sconvolgenti e folli: dissonanze, lunghe cavalcate noise, disturbi elettronici. Pazzia pura, come nelle malate dimensioni alternative pensate da H.P. Lovecraft: si perde il senso del ritmo con la batteria completamente sfalsata, che accelera e rallenta ignorando il percorso degli altri strumenti per esplodere in un finale rumoroso e disturbante. Pur penalizzato qua e là da una produzione non sempre all’altezza della situazione, questo 'Demetra' è proprio un bel lavoro: rompe le regole del post-metal proponendo un ascolto complesso, difficile, denso di dettagli, stili, riferimenti. Un disco per pochi. (Stefano Torregrossa)

(Slow Burn Records - 2014)
Voto: 75

domenica 7 dicembre 2014

Gilgamesh - The Awakening

#PER CHI AMA: Black/Death, Behemoth, Melechesh
L'epopea babilonese di Gilgamesh, che narra le gesta di un antichissimo e leggendario re sumerico, appunto Gilgamesh, alle prese con il problema che da sempre assilla l'umanità, la morte e il segreto dell'immortalità, mi ha sempre affascinato per quelle sue affinità con i testi biblici (diluvio universale, la pianta della vita e il serpente). Cosi dopo Melechesh e Absu, possiamo dare il benvenuto ai bavaresi Gilgamesh, che contribuiranno ad arricchire la nostra conoscenza in fatto di civiltà mesopotamiche. Se poi accanto all'aspetto prettamente culturale ci piazziamo anche quello musicale, corredato da un sound black death all'insegna dell'occultismo, statene sicuri, che questo potrebbe essere l'album che fa per voi. 'The Awakening' si apre col cielo oscurato da "Eclipse", una breve intro che mi riconduce con la mente a fantasticare su popoli e terre lontane. Mi ritrovo pertanto tra i palazzi di quella misteriosa civiltà di cui si sa che amasse profondamente la musica e io con loro. E cosi i nostri eroi finiscono per sfoderare una prova da paura, giocando ad annichilire gli ascoltatori con un attacco frontale fatto di muri di chitarre imperturbabili che macinano riff schiacciasassi su cui spicca l'ottima prova del drummer e della porzione d'asce che in "Astaroth", sciorina riff taglienti come la lama più affilata, dibattendosi con i blast beat ossessivi di Matthias Wedler, su chi possa primeggiare come migliore performance sonora. Vi dirò che è un pari merito: pesante, elaborata e serrata la batteria, frastagliate, chirurgiche ma assai melodiche, le chitarre. Aperta da un arpeggio dal sapore orientale, "Slaying in the Name of Ishtar" divampa col suo sound incendiario, che si muove tra il death bombastico, corredato da profondi vocalizzi growl che si alternano con clean vocals e arabeschi che arricchiscono la proposta del quartetto di Monaco. Mi piacciono parecchio questi Gilgamesh, mi inducono a riprendere in mano la lettura della mitologia mesopotamica. "The Astronomer" è un altro pezzo che merita menzione a se stante: rifferama melo death, porzioni corali e assoli da urlo, con le liriche che si affacciano su un mondo fatto di antichi e oscuri cerimoniali e il misticismo del culto delle divinità. Con "Aeons of Hate", il ritmo è leggermente più cadenzato, i mid-tempo si inframmezzano infatti al ripetuto e impazzito martellare sulle pelli, in un ritmo che va intensificandosi con chitarre perennemente in tremolo picking. La song però non emerge come le altre, fatto salvo per le scudisciate alle 6-corde del duo formato da Schorsch H. e Emanuel Daniele, quest'ultimo anche vocalist. "Evocating Enlil" parte in sordina, quasi in punta di piedi, come se si trattasse di un outro e cosi si comporta fino e oltre metà brano, in cui rinvigorisce in termini di energia e devastazione, mantenendo una certa epicità vocale. Con i quattordici minuti finali di "The Curse of Akkade" e il suo suono marziale accompagnato da una linea di chitarra magistrale, i nostri ci mostrano la loro veste più thrash oriented, con cavalcate che si muovono tra i primi Testament, miscelati con la ferocia dei Behemoth e i suoni orientali stile Orphaned Land, per un risultato che rappresenta la summa di un album, 'The Awakening", assolutamente da far vostro. Tecnicamente mostruosi, accattivanti da un profilo visuale, i Gilgamesh sono la new sensation che arriva da lontano, anzi no, da molto molto vicino. (Francesco Scarci)

sabato 6 dicembre 2014

Oltrevenere - S/t

#PER CHI AMA: Rock, Teatro degli Orrori
Gli Oltrevenere sono stati una bella scoperta quando ho avuto la possibilità di calcare lo stesso palco durante un contest che hanno poi vinto. Il quartetto vicentino nasce nel 2009 e si rivela al grande pubblico nel 2014 con l'album in questione e tutta una serie di live per presentarlo. La loro musica è un mix di rock e cantautorato con chiari riferimenti ai Teatro degli Orrori, vecchi Litfiba e influenze prog della gloriosa scena italiana che fu qualche anno fa. I testi sono intensi e gli arrangiamenti graffianti, il tutto condito da suoni moderni ma non troppo. Si aggiunga anche un po' di sana elettronica come nel brano "L'Albero delle Mele", un mix di electro-industrial con un filo di pianoforte e voce, e i giochi sono fatti. Forse un esercizio stilistico o semplicemente la band ha voluto levarsi uno sfizio, anche perché la traccia poteva essere sviluppata maggiormente e diventare un brano con molto personalità. Passando agli altri brani, ci si imbatte ne "Il Sesto Giorno", la canzone con maggior tiro dell'intero album, potente e dalla ritmica che prende da subito l'ascoltatore. I riff sono in puro stile hard rock e il basso spara cannonate che ingrossano il sound del brano per tutti i quattro minuti di durata. L'assolo finale trasmette rabbia e nervosismo che vengono mitigati subito da un breve break di chitarra acustica che permette di tirare il fiato e arrivare alla fine della traccia. Poi arriva "Colt-Love" che apre con il basso che resta il protagonista indiscusso per gran parte della canzone caratterizzata da un'impronta più oscura e introspettiva, ma sempre con una possibilità di riscatto. Infatti gli Oltrevenere giocano molto bene sui cambi di ritmica e di riff, regalando tracce con molte sfaccettature che mettono in risalto anche le loro doti tecniche. I testi riescono a parafrasare tematiche comuni in maniera mai superficiale ed il vocalist interpreta i brani in maniera profonda, quasi teatrale, ecco perchè parlavo di somiglianza con Il Teatro degli Orrori. "Senza Fili" ricorda invece quelle atmosfere del rock italiano quando i Timoria e i vecchi Litfiba, ci regalavano delle gran chicche. Su quest'onda nostalgica, gli Oltrevenere elaborano a loro piacimento un brano ben fatto con qualche arrangiamento che odora di citazione alla storia del rock, il tutto discretamente amalgamato. Verso la fine i riff s'incattiviscono e ciò ci fa un po' rammaricare perché forse avremmo voluto tale energia sin dall'inizio. Resta il fatto che la band è tecnicamente preparata, ha cercato di crearsi una propria identità e questo album ne è la prova. Molto può ancora essere fatto e ora che sono usciti allo scoperto, dovranno dimostrare di che pasta sono realmente fatti. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 70

Wrøng – Doomed From the Start

#PER CHI AMA: Grind/Hardcore, primi Napalm Death
Parlare di grindcore metal o noise per questa band è decisamente riduttivo. Di casa a Melbourne, Tim - bass / vocals - lyricist e Crispin - drums / vocals – editor, sfoderano nel 2014 ben sei opere devastanti tra singoli, e.p. ed album, tutte autoprodotte e dal copione selvaggio, iconoclasta e mostruosamente realistico. Un grido di rabbia e disperazione reso possibile distorcendo esageratamente ogni cosa, dalle voci alle trombette giocattolo, dai trapani elettrici al basso, senza nessuna remora o forma canzone, una illogica/logica contorsione intellettuale della forma sonora. L'amore per i primi Napalm death e per l'hardcore primordiale, uniti alla rumoristica sperimentale più oltranzista, quella che prevede tutto il rumore possibile nel più breve tempo possibile, ha voluto la genesi di questo album che a parer nostro risulta, nella sua inaccessibilità, una geniale follia sonica. Il suono è pregno di violenza ma non fine a se stessa, una crudeltà a scopo artistico, ispirata, incomprensibile e rumorosissima. Cercare il bandolo della matassa nelle sette tracce che compongono 'Doomed From the Start' nella sua durata di soli tredici minuti risulterà arduo, così se adorate il teatro dell'assurdo, sconcertante, profondo, riflessivo ed intelligente, adorerete anche quest'album, al contrario, il consiglio è di non ascoltarlo. Non troverete niente o poco di suonato veramente, niente di tecnicamente dotato, niente di stilisticamente corretto ma se avete amato gli albori rumoristici degli Einsturzende Neubauten (il paragone è valido solo tenendo conto dell'attitudine alla sperimentazione che accomuna queste due diversissime band), allora tuffatevi senza timore tra le sue fila rumorose, troverete la stessa voglia estroversa di far musica disagiata e di confine. Lasciatevi tentare a cuore aperto dal caos sonoro provocato dai due artisti australiani. Considerateli figli illegittimi dei Black Flag in super low-fi. Sparatevi in faccia questi loro brani che suonano come un bootleg degli Atari Teenage Riot registrato con un walkman anni '90 dentro una cantina, mentre emulano pezzi dei Napalm Death sbagliando il dosaggio dei distorsori di basso e batteria!?! Questa musica è avanguardia noise, hardcore per menti superiori, intelligenza che sfocia in rumore accecante, di bassa fedeltà, contornato da immagini underground eversive, musica catartica, evoluta per le orecchie di chi la saprà realmente apprezzare. Un'arma delicata e fatale chiamata rumore... Genialmente underground! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 80

Amplified Memory - The Ever Spinning Wheel

#PER CHI AMA: Death Melodico, Dark Tranquillity, In Flames, Kalmah 
Gli Amplified Memory sono un combo proveniente da Monaco di Baviera, un five-piece dedito a un death metal melodico di chiara derivazione dai Dark Tranquillity. Lo si evince immediatamente da "Of Whirling Chaos and Glowing Stars", la seconda traccia, che richiama la band svedese nella sua forma primordiale, quella dei tempi di 'The Gallery', tanto per capirci. Questo non può che far piacere ai nostalgici di quelle sonorità, incluso il sottoscritto, che si esaltavano con quelle favolose galoppate melodiche che entravano a gamba tesa nelle nostre orecchie. Quindi ritmiche schiacciasassi - quasi mai iperveloci sia chiaro - sorrette da interessanti melodie, costruite da abili chitarre o da sognanti tastiere, come nel caso di "Heteronomous", che proprio nel break centrale, offre notevolissimi spunti, con un finale in crescendo che oltre risentire del richiamo di Mikael Stanne e soci, mostra anche qualche accenno folk (primissimi In Flames?), segno che la scuola di Goteborg in toto, costituisce l'influenza cardine per i cinque musicisti teutonici. Si perchè anche con le successive tracce, i nostri si divertono nel ringhiare con i loro strumenti, evocando le gesta mai dimenticate di act quali Ceremonial Oath ed Eucharist, altri due alfieri del death svedese. Belli i solos spianati in "Drowning the Appetence" o il refrain chitarristico sparato in faccia da "From Balance to Chaos", altra song che vede un ottimo break pianistico interrompere l'incedere nervoso dei nostri eroi, pezzo peraltro che garantisce un elevato godimento per le nostre orecchie in una serie di ubriacanti scale finale. Non vorrei tuttavia che pensaste che l'utilizzo delle tastiere rendesse alquanto ruffiano questo 'The Ever Spinning Wheel'. Gli Amplified Memory spaccano infatti di brutto, non eccedendo mai in fatto di velocità di esecuzione, piuttosto si divertono nel lanciarsi in una serie intrigante di cambi di tempo o di atmosfera: rarefatta e imperscrutabile nella lunga "Inscrutable Stones", più rilassata nella psuedo semi-ballad "Omniscient Stars". A parte le ottime sonorità, da sottolineare è anche la prova dei singoli musicisti, Wolfgang Paulini in testa, bravo dietro alle keys (soprattutto nella selvaggia "Ladon's Dream" song che più di tutte si rifà alla musica classica) ma soprattutto dietro al microfono, con la sua timbrica gutturale assai graffiante, che emula comunque gli albori dei Dark Tranquillity. Menzione poi per Simon Bodesheim e Christoph Lamprecht, che si rincorrono con le loro 6 corde in dinamici sali e scendi, neanche fossimo sulle montagne russe. Mentre scrivo, le song scivolano via armoniose, senza alcun intoppo, veleggiando nei lidi del melo death, arrivando a fare l'occhiolino anche ai mirabolanti Kalmah. Certo non tutto è oro quel che luccica: i suoni, come detto, sono molto spesso derivativi, in alcuni frangenti anche non perfettamente bilanciati e chi ha l'orecchio fine, potrebbe addirittura evidenziarne qualche piccola sbavatura nell'esecuzione. Tuttavia, stiamo parlando di un debut album di una band di ragazzi con un'età media di soli 22 anni, che si diverte nel suonare, cercando di emulare i propri eroi d'infanzia, sperando quanto prima di maturare il carisma e la personalità che ha reso grandi band quali Dark Tranquillity e In Flames. Che ci crediate o no, sono certo che gli Amplified Memory di strana ne potranno far parecchia, ovviamente se ben assistiti. Per ora gustatevi 'The Ever Spinning Wheel', un cd di 12 tracce (e quasi un'ora di musica) che certamente non vi annoierà. Buonissimo debutto. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
Voto: 75

Godhunter/Secrets of the Sky – GH/0ST:S

#FOR FANS OF: Death/Doom/Sludge
There are some bands, that when you first listen to them, certain identifiable qualities immediately jump out you: you can often hear their prominent stylistic influences declare themselves clearly though certain parts of certain songs. This is not the case with Godhunter. It took me a long time for me to get some grasp of what they were trying to say in their "City of Dirt" release. Being an active songwriter and musician myself, I attempt to understand what an artist or band is trying to accomplish before I start to review them in writing. You immediately feel the power (and the dynamics) on the initial listen of this Godhunter release, but there is significantly more to be explored below the surface of the obvious. This isn't throwaway pseudo-Satanic claptrap (Venom) or gore (Cannibal Corpse) designed to appeal to an audience who just wants to be part of shocking mainstream social sensibilities while railing and rebelling against whatever they can, whenever they can. I wonder how many of those listeners and fans realize they've essentially adopted the original 1970s punk movement philosophy of nihilism and anarchy by becoming 'rebels without a clue'. Godhunter, in contrast, manages to be heavy and yet subtle at the same time, which is a rare mix: as metal isn't often known for its subtlety. It's what impresses me most about this band, yet makes them a challenge to do justice to in a review. Their heaviness seems to embody relevant and current political commentary, without coming across as either preachy or alienating to fans of multiple metal and rock genres. GH/0ST:S Varies between psychedelic, progressive, and extreme metal. The first track—"Pursuit/Predator"—indicates a psychotic transference of sexual desire into the thrill of killing another human being. This song is a good candidate for behavioral analysis by FBI profilers as depicted in the TV series "Criminal Minds"; as it is a very telling portrait of obsession and psychosis. There are elements of David Gilmour (Pink Floyd) reminiscent in the guitar playing, with some harkening back thematically to the Queensryche classic, "Operation Mindcrime". Overall, the music is very theatrical and moody throughout GH/0ST:S II. It's important to give the whole GH/OST:S release an uninterrupted and undistracted listen through headphones. It consists of only four songs, laid out for vinyl (two on each side): Side A (Godhunter): 1. Pursuit/Predator. The protagonist of the song transforms carnal lust into bloodlust. Opening narration: "I like killing people. It's so much fun. It's more fun than—hunting wild game in the forest: 'cause man is the most dangerous animal of all. To kill something, is the most thrilling experience. It's even better than getting your rocks off with a girl. I won't give you my name, 'cause you'll try to stop me...." Ending narration: "I wanna report a murder. She was—so beautiful. So I followed her home last night and I shot her in the head with my .45. She's lying here now, next to me; bleeding, not breathing. She was—so beautiful. Goodbye...."; 2. GH/0ST:S Side B (Secrets of the Sky) 3. The Star; 4. GH/0ST:S II. Narration (starting around 7:13 into song), "Impulsive. Sighing, he glanced at the police psychologist's report on the recent desecrations at Holy Trinity Church...." although I had trouble hearing some of the words in this piece of narrative it gets rather graphic and rude...alluding to a sexualized satanic influence in the murder alluded to on the "Godhunter", side (here on the "Secrets of the Sky" side) without making it sound contrived, or necessarily supportive of Satanism. I wonder if Godhunter chose to spell the album title this way (putting a slash after the "GH", substituting a zero for the letter "o", and putting a colon between the "T" and "S") to minimize confusion with the 2008 NIN (Nine Inch Nails) Release "Ghosts I-IV".... Also, why wasn’t this release, as it goes back and forth between driving metal and reflective psychedelia—perhaps reflecting the wild mood swings of the protagonist in this story—instead entitled "Mind of a Madman" or "Memoirs of a Sociopath”: unless perhaps both already taken? This is definitely an album to reflect upon, as there is a story worth hearing on here. (Bob Szekely)

(The Compound/Battleground Rec - 2014)
Score: 90

martedì 2 dicembre 2014

Eternal Khan – A Poisoned Psalm

#FOR FANS OF: Black Doom
It is an exciting moment in a reviewer's life when posed with the opportunity to review something previously unheard of. Rhode Island's Eternal Khan are a blackened doom metal band who do exactly what it says on the tin: fuse those two sub-genres together coherently; neither one overshadowing the other. Their debut full-length, "A Poisoned Psalm", carries the lumbering tempos and misanthropic lyrics of doom, and blends them with the harmonic-minor melodies and bleak atmosphere of black metal. Bands such as Woods of Ypres and Forgotten Tomb have already pioneered this genre, so this is nothing original - but Eternal Khan have at least managed to carve their own identity into an already niche market. The albums starts as it means to go on - with a noble, (but nevertheless desolate) oozing riff which gradually crescendos to a satisfying climax. This will become the norm for the remainder of "A Poisoned Psalm", but fear not - it never becomes dull. It simply creates a familiarity with the songs before you've even heard them! Despite the restrictions that such a particular sub-genre would usually hold - Eternal Khan manage to be as varied as they possibly can. In terms of tempo, tone and dynamic range, this is a surprisingly diverse record. For example, opener "Bells on the Black Hour" plods away with satisfying gravitas, whilst "Undermined And Abandoned" accelerates with some impressive blast beats and galloping grooves. But the real selling points are the riffs. Each one is memorable and never tries to hold its own, but compliments the vocals and drum rhythms so well; creating one pleasing and cohesive sound. The production is perfectly executed. N. Wood's nihilistic grunts are at the forefront of the mix, and the intention behind his hateful lyrics is handled with clarity and control. The guitars and bass sound beautifully muffled, whilst D. Murphy's kit clangs away in the background with an almost ambient vigour. This is definitely a band to keep an eye on. For the present, their blend of blackened doom metal is purely satisfying, and nothing special. But "A Poisoned Psalm" shows the early signs of a band who have the potential to expand their sound beyond such confines. Would recommend. (Larry Best)

(Self - 2014)
Score: 80

Exodus - Blood in Blood Out

#FOR FANS OF: Thrash Bay Area
So what we have here is album number ten from the legendary Bay Area thrashers Exodus. And without beating around the bush let me just say that YES, I am very happy to have Zetro back! This is the way Exodus should sound. While Rob Dukes was alright, he wasn’t anything special, and in my opinion never really fit in with the Exodus sound. He was too much of a screamer, and not enough of a singer. He didn't have the soul of Exodus and just generally came off as a too aggressive shouter, which just doesn't work with their sound. You don’t need false “tough guy” vocals to sound aggressive, which Zetro happily proves on this album. So album number ten, huh? I think it’s pretty safe to say that most of us were underwhelmed with the past few Exodus releases. While some good tracks were sprinkled here and there (Funeral Hymn is still amazing) overall it felt like filler. So what we have here is more old school Exodus, which is not a bad thing. Because when Exodus get it right, they really get it right. So lets see what they've come up with in this new installment of Bay Area thrash. "Black 13" is what I would call a mediocre intro to an album. Though it gives us many clues of what’s to come – a nice, thick guitar sound, rumbling bass, and Tom Hunting’s trademark thrash beats, which sound nice and punchy and clear. The song itself is nothing to write home about, though. I just expected better. Thankfully, the next track “Blood In, Blood Out” delivers on all levels. Classic Exodus from start to finish, this is what I wanted to hear. Exactly what I wanted to hear in fact. Fast, brutal, catchy – it pretty much has it all. Easily one of the highlights on the album has got to be “Salt the Wound”, which features Kirk Hammett. I personally thought this was a pretty cool thing to do, as Kirk was a founding member of Exodus. So for him to return to the band and deliver a guitar solo was a nice touch. People saying that it was just done for a marketing gimmick.. well, you may be right. But it didn't bother me at all because the guy has every right to be there. That said though, this is easily one of the best songs on the album. The riffs are just pure, no nonsense thrash, with a fair amount of groove thrown in. Tom’s drumming just seems to make the song, as the bridge leading up to the guitar leads just wouldn't work without that double bass groove. Kirk’s performance here is good, though obviously it’s nothing ground breaking or earth shattering. He pretty much came in and did what he did back in the day when he was allowed to do the same in Metallica. And come on, that’s not a bad thing. The song on a whole however gets full points from me, it’s just pretty badass. BTK is another track which features a guest performance, and this time it’s Chuck from Testament. Sadly, the song does pretty much nothing for me. To be honest, most of the rest of the album doesn't do much for me. There are some good tracks sprinkled here and there such as “Body Harvest”, “Food For the Worms” and maybe “Honor Killings” One thing about this album, and with new Exodus in general, is that the songs are just too damn long. An Exodus song should never pass the five minute mark. After that you’re pushing it, and there are six songs here which are over six minutes long – and that’s more than half the album. Cut it out. Exodus songs should be short, to the point, and aggressive. Around four minutes in length is perfect for them, and it seems that anything after that just turns into a chore. Overall, I both like and dislike this album. The positives are that it sounds great and that Zetro is back. The negatives are that it’s simply just not interesting enough. I was expecting more this time around, especially since the last two albums didn't go over so well. Don’t get me wrong, it’s still fun to listen to from time to time, but strangely most of it just goes in one ear and out the other. There’s nothing really to cling onto.. and the songs are just so goddamn long. (Yener Ozturk)

(Nuclear Blast - 2014)
Score: 70

Numenorean - Demo 2014

#PER CHI AMA: Post Black, Agalloch, Fen, Panopticon
Nelle suggestioni fantasy di Tolkien, i Númenóreani (e poi i loro discendenti) furono corrotti da Sauron durante la Caduta di Númenor, e seguirono il re Ar-Pharazôn nella guerra contro Valinor. I Numenorean traggono ispirazione dallo scrittore inglese per quanto concerne il loro monicker, rilasciando questo brillante demo di due pezzi. Il terzetto di Calgary, fin dalle suadenti note iniziali, lascia capire le proprie intenzioni, nonché le palesi influenze musicali. Il sound infatti svelato nell'opening track, "Let Me In", è un post black che fa delle catartiche atmosfere il proprio punto di forza. Otto minuti di suoni invernali, in cui potrete meditare, camminando in uno di quei boschi canadesi resi celebri recentemente in qualche film sugli orsi, visualizzando davanti ai vostri occhi solo il forte contrasto tra il bianco luccichio della neve e l'inteso blu del cielo, mentre il battito del vostro cuore insegue lentamente il riffing delicato dei nostri, che giocano con fraseggi acustici contrapposti a strappi elettrici, su cui campeggiano le mai troppo strazianti vocals di Aidan Crossley. Un po' Agalloch, nella versione più folk, un po' Fen nella componente più aggressiva, i Numenorean vi sapranno esaltare non poco per quel feeling che saranno in grado di emanare. Il tutto confermato anche dalla lunga e sofferta "Follow the Sun", in cui accanto alle influenze citate poco fa, ritroviamo anche un che dei Ne Oliviscaris nelle melodiche e dilatate linee di chitarra, cosi come pure echi degli ultimi Panopticon, per un pezzo che si rincorre e cresce esponenzialmente fino alle sue note conclusive che finiscono per mettere in pace col mondo per quel pathos che sgorga a fiotti dai solchi di questo inatteso demo cd. E se i nostri sono già sotto contratto con una piccola etichetta un perché ci deve pur essere, per cui valga la pena assolutamente di continuare a seguirli con grande attenzione. A questo aggiungete poi un ottimo packaging sia nella versione digipack che nella limited edition numerata a mano, e capirete la gioia di tenere in mano questo piccolo gioiellino di post black atmosferico. Epici! (Francesco Scarci)

(Filth Regime Records - 2014)
Voto: 75

Old Thunder – Slings & Arrows

#PER CHI AMA: Sludge/Doom, Neurosis, Jesu, Cult of Luna
Dopo i Panopticon, un'altra one man band dal Kentucky misteriosa e introspettiva. Si tratta degli Old Thunder, guidati dal tutto fare Dustin Grooms (già con Sulphur Grace), che ci offrono questo ottimo EP, uscito nel settembre 2014 autoprodotto, forte di un artwork splendido e ispirato, come del resto anche la musica, un sound druidico, evocativo ed intenso, figlio dello sludge quanto del metal alternativo, osannante i Neurosis. E allora lanciamoci in una full immersion nel suono profondo e riflessivo, sporcato di velata tristezza e carico di venature gotiche alquanto singolari che risentono della derivazione geografica dell'artista e della sua ispirazione per quanto concerne le lyrics che conferiscono al suono un calore inaspettato e assai ricercato. I testi ispirati ai maestri Poe ed Hemingway, donano una luce particolare al chiaro scuro delle composizioni che prediligono un mid-tempo apocalittico ma pieno di speranza, che lascia ottimi spazi anche ad escursioni inaspettate nel folk alternativo, come nella lunga "June 2,1910" o concede riflessioni psichedeliche come negli stacchi di "Sinking". Godibilissimo e fruibile, il platter avvolge l'ascoltatore in una continua, profonda mutazione del proprio stato d'animo; se per certi aspetti, la musica di D.G. affonda le sue composizioni in uno status di esagerata malinconica sensibilità, di contro, arriva a mostrare muscoli ben allenati, grazie a un suono mastodontico e granitico che non scade mai nel rude o nel volgare. Brani medio lunghi, tutti suonati e concepiti per creare forte intensità e impatto emotivo, una lunga poetica colonna sonora esoterica che sforna classe e qualità. Sludge e non solo quindi, dalle venature ipnotiche e cinematiche, accentuate dall'altalenarsi del canto in growl, pulito o recitato e da chitarre liquide che suscitano richiami del miglior stile Russian Circles, Cult of Luna, Jesu o simili. Una mezz'ora di eccitante American sludge gothic! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 75

The Pit Tips

Don Anelli

The Isdal Cadaver - Ruin EP
Vehemal - The Atom Inside
Terror Messiah - Reborn
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Francesco "Franz" Scarci

Ne Obliviscaris - Citadel
Ghost Brigade - IV - One With the Storm
Falloch - This Island, Our Funeral
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Larry Best

Exodus - Blood In, Blood Out
Winterfylleth - The Divination of Antiquity
Freedom Call - Beyond
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Kent

Absu - Absu
Ash Borer - Bloodlands
Agnostic Mountain Gospel Choir - Fighting and Onions
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Stefano Torregrossa

Sasquatch - IV
Shining - One One One
Pelican - Forever Becoming

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Yener Ozturk

Goatwhore - Constricting Rage of the Merciless
Black Sabbath - Vol. 4
Acid Bath - Paegan Terrorism Tactics
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Alessio Skogen Algiz

Sorgeldom - Innerlig Formorkelse
Hadanfard - Smutsiga Sinnen
Tulus - Biography Obscene
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Mauro Catena

Shellac - Dude Icredible
Pearl Jam - Vitalogy
Love Club - PEarls Dissolve in Vinegar
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Bob Stoner

Edda: Stavolta come mi Ammazzerai?
Monster Magnet: Milking the Stars: a Re-imagining of Last Patrol

Wrøng: Doomed from the Start
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Claudio Catena

Pink Floyd - The Endless River
Hyades - Abuse your Illusion
Faith no More - Motherfucker (single)