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lunedì 7 ottobre 2013

Throne - Avoid The Light

#PER CHI AMA: Sludge, Stoner-doom, Spiritual Beggars, Weedeater, EyeHateGod
L'artwork di questo primo full-lenght degli italianissimi Throne prepara già al peggio: esoterismo, oscurità e magia nera si fondono per vestire un digipack ben curato. Musicalmente parlando, il quintetto si muove nelle coordinate dello sludgecore di ispirazione sudista, parecchio condito da elementi punk e metal (per intenderci: più EyeHateGod e Weedeater che Baroness) e arricchito da una voce potente come poche se ne sentono ultimamente. La medaglia d'oro per la performance va infatti alla voce di Samu: roca, profonda, violenta e oscura, dà il vero colore all'interno di ogni singolo pezzo e personalità all'intero lavoro. Ottima la prova di tutti gli altri; forse appena sottotono la batteria, che non ama grandi fantasie ma predilige il colpo sicuro e ben piazzato. C'è davvero poca luce in questo album: i riffing di chitarra sono a tratti oscuri e ridondanti fino all'ossessione ("Prefer To Die" – sentite che arpeggio in apertura, roba di prima classe –, "Black Crow", "Forsaken"), a tratti violenti e veloci accompagnati da un drumming di ispirazione hardcore ("Buried Alive", "3 Days Of Rain"); c'è qualcosa dello stoner di scuola Down e Spiritual Beggars ("Smoke-Screen", "God Sent Me To Kill You": saltate a 3:47 e gustatevi il riff più indimenticabile dell'intero lavoro). Ma c'è poco citazionismo in "Avoid The Light", tutt'altro traspare la volontà personale dei Throne, che hanno senz'altro le idee molto chiare sulla musica che vogliono proporre. Per fortuna, i Throne non cadono nel trucco di infilare qua e là delle tracce di rumori giusto per dire "Toh, facciamo pure la pissichedelia": il giochino sta iniziando a stufare. I cinque prediligono, insomma, la via dura: ogni singola traccia è un pugno in faccia all'ascoltatore, diretto, ben piazzato e senza scampo, che vi lascerà un livido per parecchio tempo.(Stefano Torregrossa)

HellLight - No God Above, No Devil Below

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric, Thergothon, Skepticism
HellLight atto terzo (per il sottoscritto), dopo le precedenti brillanti recensioni di “...and Then, the Light of Consciousness Became Hell...” e “Funeral Doom” anche se “No God Above, No Deilv Below” rappresenta in realtà la quarta release della band paulista. Da sempre fautrice di un sound claustrofobico all’insegna del funeral doom, il quartetto di San Paolo sfodera l’ennesima eccellente prova, nonostante le proibitive durate a cui, da sempre, ci sottopongono i nostri. L’album, che contiene sette tracce più un intro, affida i suoi umori subitamente alla lunga title track. La song ci lavora ai fianchi con il suo ritmo lento e ossessivo, in cui a trasudare è un profondo senso di cupa desolazione. Accanto ad una discreta robustezza delle chitarre, direi che è il lavoro alle tastiere di Rafael Sade a svolgere un ruolo di massima rilevanza. Di spessore poi la performance vocale di Fabio de Paula, sia nella veste tipicamente growl, che in quella pulita. Sottolineerei di questa traccia anche la sezione solista, in cui è sempre il buon Fabio a mettersi in luce, con una prova magistrale, quasi da famigerato top player calcistico. “Shades of Black”, cosi come pure le seguenti tracce, danno ampio spazio alla componente musicale, continuando quell’opera di ammorbamento che avevo già identificato nei precedenti lavori. Rispetto al passato, un più ampio spazio viene lasciato alle clean vocals che donano maggiore epicità al lavoro, soprattutto in rare ariose aperture, in cui il buon Fabio si lancia in cantati a squarciagola. Non ci sono sostanziali mutamenti rispetto ai precedenti lavori, il che certo non guasta, ma alla lunga rischia di stancare, se non siete proprio dei grandi fan del genere. “Unsacred” apre con un bel muro chitarristico sorretto da toccanti note di tastiera, e poi il nichilistico vocione del vocalist ci accompagna nella recondita oscurità delle tenebre. Le atmosfere si fanno ancora più rarefatte e deprimenti; un break ambient e poi un bellissimo assolo di chitarra fende le nostre teste. In “Legacy of Soul” il cantato si fa quasi sussurrato su una porzione musicale piuttosto minimalista, anche se dopo un paio di minuti l'act brasileiro rialza la testa, aggravando i toni e la componente emozionale della loro proposta. “Path Of Sorrow” è un’altra bella mazzata di puro pessimismo cosmico senza soluzione di continuità: un po’ Skepticism, Thergothon ed Esoteric, questa song incarna appieno lo spirito noir della band brasiliana. Chiudono il disco i 23 minuti del duo formato da “Beneath the Lies” e “The Ordinary Days” che ci annichiliscono definitivamente con le loro opprimenti melodie. Ancora una buona prova da parte del quartetto sud americano che da quasi vent’anni contribuisce a caricare di solitudine i nostri ascolti. Riconferma. (Francesco Scarci)

sabato 5 ottobre 2013

Arcturon – An Old Storm Brewing

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Ci presentano il loro secondo album i quattro giovani svizzeri degli Arcturon, lavoro immerso totalmente in quel melodic death di scuola svedese che ha fatto la fortuna di molti. L’album, in formato digipak cartonato, è composto da 11 tracce, per una durata complessiva contenuta in meno di 40 minuti. Va detto che chi scrive non è propriamente un esperto del genere, ma certi riferimenti a Dark Tranquillity ed In Flames sono di facile riconoscimento, il che non è necessariamente un male, considerando questi signori tra i padri del genere proposto. Probabilmente negli anni il filone cui attinge il gruppo, è andato via via esaurendosi, con la progressiva comparsa e moltiplicazione di numerosi ensemble musicali dediti a tali sonorità, col risultato che tantissimo è stato detto dal punto di vista musicale. Questa realtà però è riscontrabile pure in altri generi e sottogeneri, quindi probabilmente le nostre aspettative dovrebbe essere riposte in larga misura su quanto di quello che già esiste venga preso a piene mani da una band e stravolto, girato e rigirato, per tirarne fuori qualche cosa che risulti segnato dal un proprio “marchio di fabbrica”, da personalità e freschezza, che renda la proposta unica e riconoscibile. In questo i nostri danno prova di avere tutta la perizia tecnica per riuscire nello scopo, oltreché una buona dose di cattiveria e voglia di spaccare tutto, seppur senza accanirsi sulle corde e sulle pelli a casaccio, riuscendo pertanto nell’impresa di confezionare un lavoro che si fa ascoltare volentieri e che cresce ascolto dopo ascolto, in particolare per il growling di Aljosha Gasser, che in un primo momento non mi aveva particolarmente convinto. Nulla è lasciato al caso e, cosa molto importante per il sottoscritto, non vi sono punti stanchi o, peggio, morti. Validissima la sezione ritmica, batteria quadrata e basso martellante a dovere, mentre a tutto il resto pensa un’ottima chitarra, coadiuvata da inserzioni di tastiera per stemperare qua e là i toni in perfetto stile melodic. La registrazione (affidata a Jonas Kjellgren – Scar Symmetry) e la produzione sono pregevoli, voci e strumenti perfettamente riconoscibili e bilanciati. I pezzi si equivalgono in buona parte come carattere, ognuno con le sue peculiarità ed il desiderio di skippare non si avverte, il che rappresenta da sé un successo. Ad ogni modo, degne di nota vi sono la coppia iniziale composta dalla titletrack e da “The Deafening”, ottime per accendere la miccia, e la conclusiva e validissima “This is the Plan”, da cui è stato tratto anche un video. Insomma, se il primo capitolo aveva convinto, col secondo album la band riconferma e migliora quanto di buono si era prodigata ad offrirci. Unico consiglio quindi rimane il costante impegno a reinventare e rinnovare quanto già esiste in un panorama che da molti è stato definito saturo, ma non per questo incapace di riservarci gradite sosprese future. (Filippo Zanotti)

(Self - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Arcturon

venerdì 4 ottobre 2013

Mean Messiah – Hell

#PER CHI AMA: Thrash/Death/Industrial, Nevermore, Fear Factory
Quando si dice “meglio soli che male accompagnati”…ecco, questo sembra proprio essere il caso dei Mean Messiah, progetto del musicista e produttore Dan Friml, dalla Repubblica Ceca. Il disco in questione, “Hell”, uscito lo scorso Luglio, è stato composto e suonato in tutte le sue parti dal talentuoso musicista, che sembra essere abbastanza a proprio agio a vestire i panni della “one man band” della situazione. La musica incisa si addentra in territori che appartengono al thrash-death piu’ tradizionale ma con decise virate verso elementi industrial e, spesso, verso sfumature che ricordano alcune influenze di un certo symphonic black metal (Cradle of filth e Dimmu Borgir su tutti). Limpide sono anche le affinità che si possono riscontrare verso gruppi come Fear Factory e Nevermore, il tutto condito da una buona prestazione a livello strumentale grazie alla buona performance di Dan. Il full lenght è una vera e propria mazzata assestata senza troppi fronzoli o sbrodolamenti (non troverete nemmeno un minimo accenno ad un assolo di chitarra), che rischia di far davvero male quando spinge a fondo l’acceleratore, con chitarre ultracompresse, scream vocals e pattern di doppia cassa che lasciano poco spazio a squarci melodici che, va detto, qua e là provano ad emergere dal quintale di lava incandescente che esce dalle casse dello stereo. Notevole la produzione del disco: suoni algidi, chirurgici, dal taglio netto, vestono alla perfezione il genere proposto e rappresentano il valore aggiunto del disco, che risulta a tratti, essere fin troppo monolitico; una maggiore varietà nel riffing proposto e nella velocità dei pezzi (up-tempo e blast beat si alternano rischiando di diventare troppo prevedibili) avrebbe giovato all’insieme della tracklist che comunque, rimane di buonissimo livello. La traccia d’apertura, “Temple of Hell”, si candida al titolo di highlight del disco, insidiata da vicinissimo da “The Last Ride” (in quest’ultima, si possono apprezzare passaggi di chitarra acustica e voci quasi sussurrate, davvero interessanti); plauso al talento indiscutibile del creatore/esecutore/produttore di “Hell” Dan Friml, già militante in formazioni preesistenti ai Mean Messiah (Sebastian, Apostasy), che è riuscito nell’intento di fornirci un buon prodotto, ben suonato e ben prodotto (a maggior ragione essendo un’autoproduzione) che non sfigurerebbe affatto nel catalogo di qualche label di “settore”. Obbligatorio alzare il volume…il moshpit sonoro che si scatenerà rischierà di trascinarvi all’inferno. (Claudio Catena)

(Self - 2013)
Voto: 70

http://www.meanmessiah.com/

Quintessence Mystica - The 5th Harmonic of Death

#PER CHI AMA: Black Sinfonico, Sigh, Solefald, Fleshgod Apocalipse, Haggard
In ritardo ci arriva questo bellissimo album della band ucraina denominata Quintessence Mystica. Questo è il primo full lenght uscito per la Schwarzdorn Production nel 2010. La band sfodera un black metal sinfonico da leccarsi i baffi, velocissimo, urticante, maligno e ben suonato, carico di tensione e ciliegina sulla torta, arrangiamenti orchestrali classici al di sopra della media, che rendono il tutto estremamente occulto e interessante. Il sound è tiratissimo, ma come dicevamo sopra, le orchestrazioni infondono una capacità musicale esagerata che imprime enorme qualità nella forma epica e d'avanguardia, capace di emulare mostri sacri come Solefald e Graveworm. Così, violino a gogo suonato in maniera diabolica da Master Alafern, mente sonora del duo ucraino e canto dalle mille sfaccettature, dal growl allo screaming, dall'epicità esasperata ed estrema interpretate dall'altra metà della band, Dromos Aniliagos. Il black metal nella sua forma più contorta e folle, dall'animo insano, sognante, cupo e drammatico. Dall'animo neoclassico, questo cd raccoglie la fredda rabbia del metallo nero, virandolo verso lidi avanguardistici di assoluta qualità e bellezza, fondendola alle strutture sonore riportate dalla classica per un riuscito suono innovativo, futurista e...violentissimo. Decisamente un cd da considerarsi una chicca, un sole in una nuova galassia... Consigliato a chi vuole spingersi oltre il classico black metal, quello dalle derive progressive e d'avanguardia, quello senza confini ed estremo in tutti i suoi aspetti e nella sua parvenza. Come se i Malevolent Creation suonassero una cover degli Haggard interpretandola con la follia dei Sigh e il classicismo epico dei Fleshgod Apocalypse... delizioso! (Bob Stoner)

(Schwarzdorn Production - 2010)
Voto: 75

http://www.lastfm.it/music/Quintessence+Mystica

Le Reveil Des Tropiques – Le Reveil Des Tropiques

#PER CHI AMA: Post rock, Kraut-rock, Can, Sonic Youth, Mogwai
Ho sempre avuto una teoria, la cui validità è supportata da una ventina d’anni di assidua frequentazione di quei posti strani chiamati negozi di dischi, e cioè che la bellezza della copertina sia in qualche modo legata a quella della musica contenuta nel disco da essa custodito. Ebbene, questo esordio dei francesi Le Reveil Des Tropiques, licenziato dall’ottima Music Fear Satan, è uno di quei rari casi (le eccezioni ci sono sempre, e potrei stilarne una classifica qui su due piedi) in cui la teoria viene facilmente confutata. Cominciamo dalla fine, dai quasi cinque minuti di schermaglie chitarristiche rarefatte e garbate di “Anthemusa”, e dalla sensazione di estrema soddisfazione mista a stanchezza propria del momento in cui si porta a termine un lungo viaggio, dove la fatica ha il merito di spazzare la mente dai pensieri superflui, e tutto appare improvvisamente più chiaro. Ebbene, non è azzardato paragonare questo esordio ad un lungo viaggio (2 cd per 83 minuti di musica), spesso molto impegnativo e, proprio per questo, capace di regalare una grande esperienza di ascolto, quasi un senso di realizzazione. Il viaggio era cominciato addirittura da “Jerusalem”, questo il titolo della traccia di apertura del primo disco, tra ritmi circolari che rimandano agli illustri connazionali Ulan Bator, tastiere dagli echi orientaleggianti, e due chitarre contrapposte, una morriconiana, l’altra capace di improvvise bordate rumoriste, a creare un lento crescendo nel quale vagiti kraut-rock virano verso asperità degne dei Sonic Youth prima maniera, per poi esplodere, senza soluzione di continuità, nel basso minaccioso di “Tenochtitlan”, affogato tra colate di feedback, quasi fosse una outtake di "In Utero". Il lavoro mette poi in fila una serie di gemme da non crederci, come una collana preziosa rimasta nascosta troppo a lungo. Ecco così la fenomenale "Antibes", 14 minuti di groove singhiozzante che non avrebbe sfigurato affatto su "Ege Bamyasi" dei leggendari Can o la maestosa “Tunguska”, sinfonia chitarristica che chiude il primo cd, ridimensionando buona parte della discografia recente dei Mogwai. Il secondo dischetto si apre con la sferragliante “Sigiriya”, tiratissima e acida, una corsa a rotta di collo in discesa per lanciarsi nella cavalcata noise appena sporcato di elettronica di “Kinshasa” e prima di affrontare l’ultima salita impegnativa, costituita nella fattispecie dai 17 minuti di “Yonaguni”, che attualizzano i Pink Floyd di "Meddle" o i primi Soft Machine, ibridandoli con le sperimentazioni rumorose degli ultimi Flaming Lips. Lavoro davvero grosso, in tutto e per tutto, decisamente profondo e sfaccettato, che va ben al di là delle definizioni di genere. Uno di quegli esordi che possono mettere in crisi una carriera, tanto parrebbe difficile regalargli un seguito che sia alla sua altezza. E noi, naturalmente, saremo lì a fare il tifo per loro. (Mauro Catena)

(Music Fear Satan - 2012)
Voto: 85

http://lereveildestropiques.grand-public.org/

giovedì 3 ottobre 2013

Absent/Minded - Earthtone

#PER CHI AMA: Death Doom Sludge
Quante cose a solleticarmi il palato, e la proposta che oggi arriva dalla Germania, aumenta il numero di uscite rilevanti del mio ultimo periodo. Si tratta degli Absent/Minded che mi sparano in faccia sette pezzi di tonante death doom contaminato da venature southern sludge. Niente male vero? “To Unsnare” sembra molto tradizionale nel suo lento approccio iniziale, non fosse altro che quando attacca la lead guitar sul suo tappeto ritmico bello prestante, rimango imbambolato e subito dopo stordito dal break acustico tipicamente post-sludge. Veramente figo, il primo pensiero che produce la mia testa. Mi aspetto grandi cose ora con i successivi pezzi. E “Ghost Tower”, la seconda traccia, non tradisce: ritmica lenta, pesante, bel vocione growl, mood melmoso stracarico di groove e la seconda chitarra di Uwe super effettata. “Arktic” non può che essere un pezzo di gelido e desolante post-metal, che trova nuovamente nelle sue linee di chitarra, la maggior ispirazione. Sapete qual'è il bello di questo “Earthtone”? Non sono ancora riuscito a trovare un termine di paragone per la band della Baviera e questo vuole proprio essere un bel complimento per i nostri. La bravura dei nostri risiede infatti nel miscelare una versione stralunata di death doom con lo sludge/post metal senza risultare già sentito. Chiaramente i break acustici fanno parte del genere, lo insegnano i Neurosis, ma il quartetto di Bamberg si muove con assoluta autorità e una più che discreta originalità, il che me ne fa apprezzare non poco l'esito conclusivo. “The Lesser Evil” ci regala un'altra preziosa e sapiente apertura atmosferica, pachidermica nel suo avanzare piuttosto contorto, ma sempre ragionato. La voce di Steve si conferma altro punto di forza per quest'album e non fa altro che avvalorare la performance dei nostri, che a questo punto trova, in Michael al basso e Jürgen dietro le pelli, altri due validi elementi. Esterrefatto dal songwriting già molto maturo, da una proposta musicale non proprio scontata, da eccellenti qualità a livello esecutivo, non posso far altro che consigliare “Earthtone” a tutti gli amanti di sonorità death doom mid-tempo, di cui “Reborn” e l'ultima omonima traccia, probabilmente ne sono l'emblema; inoltre un invito va anche alle sempre più numerose frotte di estimatori di suoni post/sludge. Consigliatissimo. (Francesco Scarci)
 
(Self - 2013)

Svart - Det Personliga Helvetets Spiral

#PER CHI AMA: Depressive Black, Shining
Se state soffrendo per la mancanza del capitolo numero 9 degli svedesi Shining (l'8½ non conta), non dovete fare altro che acquistare a scatola chiusa questo disco. Non solo perchè gli Svart sono il side project del bassista degli Shining stessi, ma perché non posso negare che “Det Personliga Helvetets Spiral” abbia un sound che richiami quello della band madre. Poco importa perchè il risultato è davvero convincente. L'arpeggio iniziale in “Genom Förgängelsens Dimmor“ e comunque la chitarra acustica che domina le ritmiche dei nostri, ha un fascino davvero intrigante per quella sua aura palesemente depressiva. La prima traccia ha da offrire una proposta ruvida nelle parti più aggressive con le harsh vocals di Draug che si alternano a quelle pulite dei momenti più rilassati, in cui ad emergere è un inedito ibrido post rock/suicidal depressive. “De Ogudaktigas Abyss” ha un piglio più thrash oriented con le chitarre che suonano molto southern, stile Glorior Belli. La song è abbastanza incazzata ma non mi convince granchè; skippo a “Hädanfärd”. Si tratta di una marcia funebre strumentale scritta e composta da Seya Ogino (la prima guest del disco proveniente dagli Acacia), in cui la tetra atmosfera che si respira, odora d'incenso. Il deprimente pianoforte suona spettrale lungo tutto il suo desolato cammino. Catturata nuovamente la mia attenzione, si passa alla title track, minacciosa e mortifera song di otto minuti in cui alle vocals appare Ulf Nylin (Acacia, Murmur, Korpblod), il nostro secondo ospite che offrirà la sua eccellente performance vocale anche nella violentissima “Moder Jords Svärtade Sköte”. Qui invece il ritmo è lento e assai cupo, con i vocalizzi demoniaci del duo Ulf/Draug ad incutere un raffinato timore. Il suono delle chitarre suona ovviamente come gli Shining, non mi dispiace, ma forse Draug dovrebbe migliorare quest'aspetto della sua musica, per non cadere nel facile paragone tra la sua creatura e quella di Niklas Kvarforth. Certo che quando il mastermind svedese inizia a premere sull'acceleratore c'è da aver paura, proprio come nel feroce epilogo del quarto brano. “Suicidiums Evinnerliga Bävan” è un nome e un programma: efferata ed epica, si tratta di un black mid-tempo dalle tinte fosche ma pregne di quella eroica fierezza che contraddistingueva i pezzi dei Bathory. Niente male davvero. Ecco quello che volevo, un po' più di distacco dagli Shining e maggiore voglia di spaziare tra più generi ed influenze; riproporre poi lo spirito di Quorthon, non è quel che si dice una cattiva idea. Il finale poi è carico di trasporto, per uno strepitoso risultato. Di “Moder Jords Svärtade Sköte” vi ho già accennato: song brutale, contraddistinta da ferali blast beat, che nel suo cuore centrale, si abbandona fortunatamente, a splendide e malinconiche atmosfere ancestrali. A chiudere il disco ci pensa “Agnosis”, una sinfonica melodia che mette a tacere l'anima tormentata di Draug. Un disco interessante, ma dal sagace mastermind svedese mi aspetto, per una prossima release, una maggiore distanza da quelli che sono i dettami di casa Shining e pertanto una maggiore personalizzazione della propria musica, peraltro già di per sé molto buona. Disperati. (Francesco Scarci)

(Art of Propaganda - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/svartofficial

mercoledì 2 ottobre 2013

Les Yeux De La Tête - Mosca Violenta

#PER CHI AMA: Jazzcore, Noise, Free, John Zorn, Jesus Lizard, Zu
A lungo atteso e agognato dal sottoscritto, esce finalmente il nuovo album del trio francese, a tre anni di distanza dal precedente "Nerf", sempre licenziato dall’interessante label transalpina Head Records. A sgombrare il campo da ogni dubbio, dico subito che se non siamo dalle parti del capolavoro, ci manca pochissimo. La proposta è sempre quella fondata sul concetto di innestare, sulla classica formazione a tre del Jazz composta da sax, basso e batteria, potenza e “cattiveria” proprie del noise rock di gruppi quali Jesus Lizard o Shellac (in questo ricordano gli elvetici Lilium Sova, di cui abbiamo parlato qualche mese orsono). Il risultato è un folgorante jazzcore, sapientemente posto a metà strada su un’ipotetica scala che vede da una parte gli estremismi free dei The Thing di Mats Gustafsson e dall’altra gli assalti al limite del grind dei romani Zu. Les Yeux De La Tête, forti dell’intensa attività live degli ultimi anni, mettono in mostra un interplay ancora più rodato tra un basso, ora spigoloso e martellante, ora distorto e molto “heavy”, una ritmica roboante e mai banale e un sax capace di avvilupparsi in strette spire o spiegarsi in voli spericolati, nel corso di questi 40 minuti. "Mosca Violenta" è un titolo bellissimo, e rende magnificamente la forza schizoide e nervosa di queste 11 tracce, dove fruibilità e sperimentalismo sono sapientemente dosati in un alternarsi di brani accessibili, quasi “cantabili” e altri più ostici e insidiosi. Quello che colpisce maggiormente di questo disco è la potenza che i tre riescono a sprigionare senza avere in formazione nemmeno una chitarra, basta ascoltare il filotto che, dal brano di apertura “Fubar”, prosegue sospinta da una sezione ritmica fragorosa e inesorabile fino alla lenta “Sloomer”, minacciosa e tonante, il suono che annuncia l’incombere di un disastro imminente. “Oxytoxum” e “Les Rognons” ci portano invece dritti nel cuore pulsante e schizofrenico dell’album, dove il sax si abbandona a flussi di coscienza disturbati e disturbanti, fino a lambire il free alla John Zorn in “Soutane of Swing”. Lavoro estremamente maturo e perfettamente compiuto, che dopo la botta iniziale rivela sempre nuove chiavi di lettura ad ogni ascolto. Mai prolisso e magicamente bilanciato tra ragione e furore, Mosca Violenta entra prepotentemente nella top ten del 2013. Destinato a durare. (Mauro Catena)

Shepherds of Cassini - Shepherds of Cassini

#PER CHI AMA: Post Metal, Progressive, Psichedelia
Non so se ci sia qualche attinenza spaziale col nome della band di quest'oggi, ma la sonda Cassini è stata la prima navicella ad essere entrata nell'orbita di Saturno; tutto ciò accadeva nel 2004. Oggi a distanza di quasi un decennio, mi ritrovo a recensire un ensemble proveniente dalla Nuova Zelanda, fautore di un post-metal dalle tinte space-progressive, che richiama proprio il nome di quella sonda. Per prima cosa, vorrei ringraziare la disponibilità dell'act di Auckland, perché dopo aver preso contatti con uno dei membri, qualche giorno più tardi mi sono trovato il loro cd nella cassetta postale, quindi non oso immaginare quanto i nostri abbiamo speso per spedirmelo. Un paio di componenti della band saranno poi in Italia a dicembre, quindi potrebbe essere una buona occasione per incontrarli, vedremo. Veniamo però alla musica, perché le sette tracce contenute in questo lunghissimo lavoro sono davvero interessanti. Dopo la consueta intro, ecco aprire il roboante fragore delle chitarre di “Eyelid”: una bella plettrata accompagnata dal pizzicare del basso e dal picchiare dei tamburi e via. Fin qui tutto normale, ma in pochi secondi tutto muta. La 6-corde prende a girare su ritmi dal sapore mediorientale, il ritmo si fa mutevole, qualche cambio di tempo qua e là, ma percepisco che nelle note dei nostri regna l'inquietudine. Il sound strumentale si fa nervoso, fino a quando prende il sopravvento la componente decisamente space rock dei nostri, regalandomi attimi di intricata musicalità, psichedelia e rumori, nonché oscuri giri di chitarra post progressive, definizione appena coniata dal sottoscritto. Notturni, inquietanti e ipnotici, la presenza di uno spettrale violino enfatizza tutti gli umori che i nostri vogliono trasmettere; io gli Shepherds of Cassini li adoro già. Qualcosa manca però, una voce, indispensabile per il sottoscritto per apprezzare appieno un lavoro. Il quartetto cambia ancora ritmo in questa infinita cavalcata di quasi 20 minuti in cui ora a miscelarsi sono stoner, post, heavy metal luciferino e doom. Cosi tanto frastornato da questi suoni, mi lancio ancora più incuriosito all'ascolto delle due parti di “Asomatous Pendula”, ove fa finalmente la sua comparsa la bella voce di Brendan Zwaan. Perfetto; il lavoro ora è completo e io non posso far altro che godere appieno della passionalità struggente sprigionata da questa release, dai suoi suoni, dalle calde e suadenti atmosfere che spingono questo debut in cima alle mie preferenze di quest'ultimo periodo. Splendidi passaggi ambient, che vengono rincorsi da altalenanti, frastagliate e rarefatte ritmiche, in cui riesco ad individuare e a configurare nella mia mente ogni singola nota di ogni strumento. Rapito nella mia emotività da una cosi completa e articolata proposta musicale, in cui ad emergere sono tutti gli strumenti, mi lascio deliziare i sensi dal funambolico violino di Felix Lun (ricordate i Ne Obliviscaris? Qui trova ben più spazio la nobiltà della sua musica). Il riffing si conferma nervoso ma assai peculiare nella seconda parte della traccia, con stop and go da urlo, cambi di tempo e ambientazione. D'altro canto si sa, la Nuova Zelanda è un po' il paese delle 4 stagioni in un sol giorno e il quartetto della capitale neozelandese mette abilmente in scena tutta l'ingovernabilità e imprevedibilità delle stagioni: le intemperie dell'inverno si sfogano nei passaggi ritmici più tirati, l'armonia e la musicalità della primavera nella follia del mio amato violino. Il passionale caldo dell'estate emerge forte nel calore della voce di Brendan (scuola Porcupine Tree) e nel brillante lavoro di Omar dietro alle pelli e di Vitesh al basso. Il nostro viaggio galattico passa attraverso le carte spaziali della cupa e un po' “tooliana” “The Silent Cartographer”, song introversa dalle tinte pacate che sfocia nella conclusiva “Nefarious”, song la cui ritmica è decisamente post metal, ma che si evolverà in suoni robotici e assurdi nell'arco dei suoi dodici minuti, con le vocals che assumono un aura cibernetica e le melodiche linee di chitarra che si spingono verso lidi di alienante delirio. Che altro dire di questo primo lavoro degli incredibili Shepherds of Cassini, se non incitare anche voi a salire a bordo dell'astronave e inoltrarvi nel lontano spazio infinito. (Francesco Scarci)

martedì 1 ottobre 2013

Frigoris - Wind

#PER CHI AMA: Black Malinconico, Agalloch,
Torna l'Hypnotic Dirge Records con il terzo album rilasciato quest'estate, quello dei teutonici Frigoris. La band di Dominik Winter (che ci sia una correlazione tra il cognome del mastermind e quanto di gelido potrebbe evocare il nome della band?) ci propina un concentrato di black mid tempo assai melodico, le cui chitarre per certi versi possono ricordare il canto del cigno degli ahimè scomparsi Dissection. Otto tracce di cui due strumentali e un'intro ad allietarci con più di tre quarti d'ora di musica che a partire da “Zwischenwelten” lascia intravedere spiragli di buona ottime sonorità che si dipanano tra Amon Amarth, Fen e a livello acustico richiamano gli Agalloch. Sulla carta “Wind” sembrerebbe una bomba, però ci sono ancora tanti dettagli da limare: assolutamente azzeccati gli intermezzi arpeggiati, cosi come pure quelli epico-vichinghi, un po' meno il risultato che fuoriesce dalle partiture più veloci o comunque dalle parti più aggressive. Le arcigne vocals di Dominik non sono affatto male nel loro screaming malefico. Un altro soffuso arpeggio tiene banco per un paio di minuti nell'epilogo di “Im Keim Ertrunken” prima che le ritmiche infernali prendano il sopravvento con il martellare preciso di Pelle alla batteria e il tagliente suono delle chitarre, prodotto dal duo d'asce formato dallo stesso Dominik e Raphael. Le atmosfere sono rarefatte, malinconiche, ad un certo punto addirittura ipnotiche perché la chitarra ritmica continua a girare su se stessa con un loop paralizzante su cui poggia la solista. I Frigoris sono decisamente dei maestri nel creare splendide atmosfere sinistre e cosi molto spazio viene lasciato a intermezzi gentili, prettamente stracolmi di nostalgia e dai forti rimandi folk. Emozionante. Devo ammettere di aver sottovalutato le potenzialità di “Wind” e averlo bollato ad un primo ascolto come album scadente. Ma riascoltandolo, mi sono accorto che nella musica dei nostri si celano umori, sensazioni ed emozioni che non mi hanno lasciato del tutto stranito, ma anzi mi hanno fatto apprezzare ascolto dopo ascolto, la proposta del quartetto tedesco. Ovviamente non abbiamo di fronte dei fuoriclasse ma neppure dei brocchi e quando in “Frühlingsnacht” compare anche la soave voce di Melanie, la bassista, non posso che rimanere piacevolmente spiazzato e rivalutare il mio voto assegnato alla release. Sognanti, e la prima delle due tracce strumentali ne è la riprova, mentre la seconda è un mix tra thrash, black e folk, con vocals narranti. A completamento dell'album citerei “...Und Asche Rinnt Durch Meine Hände”, song che si rifà decisamente ai suoni Cascadiani e la malinconica conclusione, affidata alle cupe note di “Wenn Die Make Bricht”, mi convincono appieno della bontà di questo lavoro di decadente black metal. Folklorici. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2013)
Voto: 70

http://www.frigorisofficial.de/

The Pit Tips

Filippo Zanotti

Isis – Panopticon
Hacride – Lazarus
Agrypnie – Aetas Cineris
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Francesco “Franz” Scarci

Shepherds of Cassini - Shepherds of Cassini
Carcass - Surgical Steel
Fleshgod Apocalypse - Labyrinth
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Bob Stoner

Pest - The Crowning Horror
Portal - Vexovoid
Deaflock - Courage to Expose All
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Michele “Mik” Montanari

Isakk - The Longer the Beard the Harder the Sound
Naan - Vow
Motorpsycho - Still Life with Eggplant---
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Samantha Pigozzo

Nine Inch Nails - Hesitation Marks
Placebo - Loud Like Love
The Editors - In this Light and on this Evening
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Alberto Merlotti


Dream Theater - S/N
Death Mechanism - Twenty-First Century
Move in Spectrums - Au Revoir Simone
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Mauro Catena

Les Yeux De La Tête – Mosca Violenta
Mark Lanegan – Imitations
Our Ceasing Voice – That Day Last November