Cerca nel blog

sabato 17 agosto 2013

Kaptivity - Walk Into the Pain

#PER CHI AMA: Old school Death metal, Grave, Deicide
Era da tanto che non mi capitava di ascoltare qualcosa di old school e tutti sono a conoscenza che la scena italiana non abbia tantissime band che seguono queste sonorità, purtroppo, sopratutto in ambito death metal. I Kaptivity riescono nel loro intento grazie ad un songwriting aggressivo che non cade mai nella banalità, ed è forse questo che pecca nel loro disco (o probabilmente che vorrei sentire io): una attitudine schietta e menefreghista capace solo di rappresentare le più becere musiche. Quello che io identifico come il "problema" è l'effettiva capacità strumentale e compositiva del combo emiliano che riesce perfettamente nel suo intento di creare delle tracce di matrice death old school con un pizzico di aria macabra e funeraria. Dopo l'atmosfera creata dall'intro, le composizioni sono un sussegguirsi di violenza sonora e di bieca oscurità, in primis le tracce "City of Pain" e la evocativa "Burning Until the End". Avrei preferito "Dawn of the Immolated" successiva all'"Intro", dato che è impossibile ascoltarla composti. L'opera risulterà molto piacevole per tutti gli amanti di un certo death metal primordiale o per coloro che sono alla costante ricerca di nuove leve per vecchie sonorità. (Kent)

mercoledì 14 agosto 2013

Picatrix - Quaestio Prima

#PER CHI AMA: Ambient elettronica downtempo
Difficile introdurre quest’artista, poiché avvolto dalla nebbia del mistero. L’unica cosa che si può narrare, è che pare quest’opera sia scritta e composta da Luigi Seviroli (autore, tra l’altro, di alcune musiche per fiction italiane e del film su Dylan Dog), ma non è chiaro se sia proprio lui sotto pseudonimo. Altra chicca, è l’intervento all’interno del booklet del famoso scrittore Valerio Evangelisti (ricordiamo “Il Ciclo di Eymerich”, e la trilogia di Nostradamus), che loda questa breve composizione di 5 tracce. Tutta l’opera, ormai datata 2005, catapulta l’ascoltatore in un limbo che evoca immagini di vita medievale, con sterminati campi e villaggi fatti di capanne sotto il castello, aiutati anche da note di cornamusa sintetizzate (presente in tutte le operette), oltre che a momenti di suspense in “Zohar et Metatron”. Note allegrette si possono sentire in “The Inquisitor” che con la cornamusa quasi crea un’atmosfera giocosa. Tutt’altra ambientazione viene creata in “From Hell”: cupa, inquietante, drammatica. 10 minuti angosciosi, che lasciano l’ascoltatore in sospeso ma che riportano alla perfezione la parte più nera e tenebrosa del medioevo, piena di fantasmi e ignoranza. Si chiude così quest’ambiguo album, perfettamente mimetizzato nella nebbia più fitta e che, nonostante i numerosi ascolti, risulterà veramente impenetrabile da comprendere. Di sicuro è perfetto per qualche serie televisiva in costume, o come sottofondo musicale per leggere. (Samantha Pigozzo)

The Coffeen - You Must Be Certain of

#PER CHI AMA: Heavy Doom Stoner Punk
Caffettiera, bara da morto e altre amenità, questo album è un calderone infernale di generi (stoner-doom-heavy metal-dark-punk-blues-la suoneria dell' Iphone, etc.) che se preso nel modo giusto, non è così male. Per modo giusto intendo non seriamente, dopo tutto cercar di fondere generi diversi è già stato fatto, però o hai le palle per farlo bene, altrimenti cadi nel banale. Tecnicamente niente da dire, si sente che c'è esperienza e pelo sullo stomaco, ma ormai non basta quello, da anni. Parliamo brevemente di "Zombie for Breakfast", doom iniziale lento come un cadavere che cerca di risalire dalla sua tomba e vocione grosso in dark style. Poi si cambia e via di punk, assolo di wah wah e cori che ricordano l'heavy metal degli anni 80. "Fistfuck Rising" è uno stoner primordiale, neanche fossero mai esistiti i Kyuss e gli Sleep. Giri ripetitivi e voce con un pò di riverbero, giusto per non perdere lo stile vintage del cd. Chiudo (sennò sto male) con "When the Telephone Doesn't Ring" che risolleva i The Coffeen, almeno per alcuni riff che catturano l'orecchio del vecchio rocker e lo incitano a smuovere le budelle bruciate dal troppo whisky trangugiato nei molti anni di concerti dei Motorhead, ZZ Top e co. Che vi devo dire, ascoltatevi le altre tracce e decidete che farne. Italians do it better, come recitano i The Coffeen, ma cosa facciamo meglio? Sicuramente non facciamo valere le nostre idee e non mettiamo in gioco il nostro culo per qualcosa in cui crediamo. Noi al massimo il culo ce lo facciamo rompere, non solo da Rocco. (Michele Montanari)

giovedì 8 agosto 2013

Fate Unburied - Dehumanized Society

#PER CHI AMA: Death Melodico, Carcass, At the Gates, Death
Una piacevole melodia di chitarra irta di chorus è l'introduzione di "Arise" traccia iniziale della release "Dehumanized Society", debutto del giovane combo vicentino Fate Unburied. Dura solo pochi secondi la lieve melodia chitarristica che presto si tramuta in pura violenza sonora costituita da un death metal melodico di matrice svedese. La struttura compositiva è molto classica, ovvero uno scream non troppo acido, chitarre veloci con un suono melodico ricco di armonizzazioni, delle linee di basso che non si limitano a zappare le note portanti, ma sopratutto un drumming di notevole tecnica e prestanza, capace di rendere tutte le tracce complete e non lasciare un attimo di respiro. Il punto debole di questa ottima prima uscita è invece il suono troppo digitalizzato, che ormai sta intasando la nuova musica uscente dalle giovani band, grazie ai moderni sistemi di registrazione homemade. Il punto forte di questa release d'altro canto, lo vedo nel songwriting: nonostante nel death melodico sia facile cadere negli stereotipi del genere, i quattro ragazzi veneti riescono a creare delle composizioni tecniche ed affascinanti ("Chimera" su tutte), con l'influenza dei grandiosi Death facilmente riscontrabile. Ci sarà tempo per rendersi più personali, nel frattempo date una chance a "Dehumanized Society". (Kent)

Chaos Plague - Chaos Plague

#PER CHI AMA: Progressive Death Metal, Necrophagist, Pestilence
Tramite il buon Emi della Music Solution's Agency, giunge fra le mie mani questo discreto EP dei Chaos Plague, giovane band di Como, che mi allieta con tre tracce progressive death metal di buona fattura. Le sonorità tendono al classico, distaccandosi dalla moderna scia di gruppi come Beyond Creation o Obscura; la preparazione tecnica è più che sufficente per il genere e alla luce di ciò, non riesco a capire il volere della band di non varare scelte compositive che virano verso parti più adrenaliniche, ma di rimanere sempre sugli stessi stagnanti ritmi e patterns. Le parti più progressive rock e lievemente jazzate, di chiara ispirazione Cynic, sembrano inserite a forza e alla fine non convincono efficacemente tanto che pesa molto nel lavoro complessivo il finale di "Sinner's Regret". In conclusione "Chaos Plaugue" lo vedo come un'opera incompleta che limita terribilmente le capacità di un gruppo, che dati i presupposti fin qui ascoltati, può fare certamente qualcosa di superiore. (Kent)

The House of Usher - Radio Cornwall

#PER CHI AMA: Dark Gothic Rock, The Cure, Joy Division
Ricevo questo doppio cd, ormai datato 2005 ove troneggia l'immagine di un re con tanto di barba e corona, come da tradizione medievale: inserisco il cd nel lettore e chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare dal gothic rock teutonico. "Wherever the Storm May Drop Us" inizia con suoni distorti, per arrivare poi ad una voce che ricorda i Joy Division e i Cure; tutta la canzone è caratterizzata da un'atmosfera cupa, scura, quasi pesante, un goth-rock pulito e piacevole, tranquillo e non impegnativo. "More than Average" si presenta con una voce più acuta pur mantenendo una atmosfera dark: gli strumenti in primo piano sono il sintetizatore e la batteria, mentre in secondo piano vi sono anche chitarra e batteria. Questo brano si avvale anche della collaborazione di una voce femminile per i cori. "A Dead Man's Hand" inizia con spari, elicotteri e urla lasciando poi il posto ad un brano grintoso, cattivo, potente, più dark rispetto ai precendenti ma di grande impatto. "Hide and Seek" è già più calma, con un largo uso di chitarra-batteria e una voce semi-grave, matura. Un brano che accompagna facilmente i pensieri, senza infastidirli, terminando con note di pianoforte e tastiere. "Will You Know Me" ricalca lo stesso ritmo, cambiando solo la velocità: questo brano è un po' più veloce, ma senza risultare troppo duro, insomma rimane sempre nell'ambito rock, senza mai nemmeno timidamente fare capolino nel reparto metal. La sorpresa di questa traccia è la voce femminile che canta in francese, molto dolce e gradevole. "For Better for Worse" è ancora più cupa, degna della migliore tradizione “joy divisiana”: malinconica, funesta, deprimente, persino profonda. Siamo giunti a metà album e ci si presenta la title track, "Radio Cornwall": appena percettibile c'è l'inno americano all'inizio, mentre la canzone risulta bella carica. "The Floor She Walked Upon" ha un tono più solenne e accattivante: personalmente lo reputo uno dei brani migliori di questo album, proprio per la vita che contiene. Il brano sembra essere uscito dai primi anni '90, grazie soprattutto all'uso di tastiere e suoni campionati. "It Doesn't Matter" si mette in luce per uno stampo più industrial e un ritmo più dinamico mentre "Throwing Stones at the Wind" ha un'impronta più allegra: sembra quasi che la band voglia spogliarsi del velo mesto che li circonda, per lasciare spazio ad un sentimento più positivo: quel che ci voleva dopo un album colmo di oscurità. Con "Le morte d'Arthur" arriviamo così alla fine del cd: chitarra e batteria acustiche, voce lugubre, tono solenne e voce femminile, sono gli elementi che caratterizzano il brano, quasi a voler sottolineare la tristezza che la morte porta. Solo verso la fine il ritmo si fa più incalzante, si desta dalla malinconia e riprende la forza trovata nel brano precedente. Come detto all'inizio, quest'opera si avvale di due cd, di cui il secondo contiene sia la già citata “A Dead Man's Hand”, che altre 4 canzoni composte negli anni precedenti, più orientate a suoni di stampo epico/medievale. Non è stato così semplice recensire l'album, causa brani che di base si assomigliano tutti, e che dopo un po' inducono noia nell'ascoltatore. Necessita comunque di essere sentito più e più volte, perché solo in questo modo si capteranno le diverse sfumature. Consigliato a chi ama il dark-rock dei Cure o dei Joy Division. (Samantha Pigozzo)

(Equinoxe Records)
Voto: 60

http://www.the-house-of-usher.de/

Xipe Totec - In Moyocoyani

#PER CHI AMA: Folk Death, Asphyx, Autopsy
Xipe Totec era una divinità mixteca, in origine chiamata semplicemente Xipe, associata al culto della morte e della vita e come dio fu adottato dagli aztechi durante il regno Axayacatl (1469 -1481). Tutto questo per introdurre una band tutta particolare che fonde un carattere industrial/death metal con basi ambient tutte giocate su suoni primordiali delle foreste azteche. La band si chiama come la divinità Xipe Totec è al terzo album ed è uscito nel 2012 per la Invincible Records. La band proveniente dal Messico si è formata nel 1996 e dopo varie uscite e scioglimenti, si è ricostituita nel 2011 dando poi alla luce questo connubio musicale dal titolo "In Moyocoyani" scritto come un concept album con un comune denominatore che lega tutti i dieci brani da una selvaggia e ripetuta colonna sonora della foresta che riaffiora di brano in brano in situazioni diverse ma tutte atte a riportare alla mente lo scopo della composizione. La band si definisce "prehispanic death metal" ed esplora con testi e musica l'epoca del dominio azteco, fino ad arrivare a cantare tutti i nuovi testi in lingua storica azteca. La musica è ben stesa, iper tecnica, velocissima e con assoli entusiasmanti che trovano contraltare nelle frazioni ambient, un growl ragionato e pungente, un disco ben concepito ricco di atmosfera e violenza. Nelle parti pesanti i nostri riflettono gli Autopsy in una versione più secca con influenze fredde ed industriali tranne negli assoli dove un suono molto avvolgente e caldo stupisce per melodia e tecnica esecutiva, un death metal old school ben suonato e marcio come deve essere. Forse la volontà di creare continui ponti tutti giocati sui suoni della foresta risulta alla fine un po' ossessiva ma non guasta, se veramente si riesce ad addentrarsi nel significato dell'opera che acquista valore ad ogni ulteriore ascolto. Come dicevo, un apprezzamento degno di nota va fatto per il lavoro solista della chitarra a cui va dato il giusto merito, anche se siamo convinti che una produzione più raffinata avrebbe potuto donare all'intera opera una qualità ulteriore. A conti fatti e riascolti ripetuti non possiamo che constatare quanto buono sia il risultato di questo album particolare e tutto da scoprire, misterioso come la storia del popolo azteco (attenzione l'album è disponibile in sola distribuzione digitale – vedi Invincible Records – DeFox promotions). Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

domenica 4 agosto 2013

Via Sacra - The Road

#PER CHI AMA: Heavy Metal, Iron Maiden
Primo lavoro per la neonata band portoghese, uscito nell'autunno 2012. Geniale è il packing: in cartone, per prendere il cd basta sfilare e aprire un'aletta rotonda (riportante i colori della copertina). In questo modo si evita di rovinare la custodia e occupa minor spazio rispetto alla stessa in plastica. Unica pecca è l'assenza del booklet (ma per vedere le loro facce basta andare sulla loro pagina myspace). "Jimmy's Life" inizia con un giro di chitarra in stile anni '80: la prima cosa che mi salta in mente circa la voce del cantante è "ma sembra Bruce Dickinson!". Tutta la song, assieme anche a "No Lies", segue il filone dell'hard rock energico e veloce, con qualche assolo di chitarra che ti porta direttamente nell'air guitar. "Lost World" e "Black Angel" sono già più rallentate, melodiche, ma il vigore rimane tale e quale: ciò che è aumenta invece è il pathos. Decisamente da cantare a tutta voce. "Souls of Fire" ha un riff iniziale di basso squisito, a cui fanno seguito chitarra e tastiere vigorose e morbide al tempo stesso. Più si procede con l'ascolto, più mi carico di energia positiva: questa è magia! . "Storm in your Soul" e "Never Come Back Home" sono brani più introversi dove il vocalist porta la voce ai due estremi: nella prima tocca il livello più alto, sottolineando la fortissima somiglianza con il buon vecchio Bruce, mentre nella seconda rasenta tonalità più gravi. Brani intrisi di una forza interiore coriacea che lasciano il segno. "Baby Baby" dal ritmo incalzante, ricorda vagamente i Kiss, specialmente negli acuti del corista, oltre che nel largo uso delle tastiere. "Secret Garden" è la mia traccia preferita: note campionate aprono e caratterizzano questo pezzo, rendendolo più cupo e tetro. Estroso! Con "The End of the Road" si arriva alla fine: chitarra aulica all'inizio, per tornare alla risolutezza di base di questo ensemble. Per chiudere, dico che questo è l'album hard rock che più preferisco: non trovo un termine adatto per esprimere la grandezza di questo lavoro. Per me può anche essere definito capolavoro. Bravi!!! (Samantha Pigozzo)

(Ethereal Sound Works)
Voto: 85

https://www.facebook.com/viasacraband

giovedì 1 agosto 2013

Santina è Morta - EP

#PER CHI AMA: Stoner Rock, Teatro degli Orrori, Verdena
Con i Santina è Morta è stato amore al primo concerto, poi al secondo (suonavamo allo stesso Festival) li ho conosciuti e mi sono accaparrato una copia del loro ultimo lavoro. Il trio vicentino si basa su due chitarre molto affiatate tra loro e un batterista che definirlo bravo è poco. Grande impatto sonoro e visivo, condito da ottimi suoni e ritmiche sempre azzeccate. Loro fanno a meno del basso, lo emulano per mezzo di orpelli tecnici e va bene così. Un pò di influenze qua è la, tra cui Teatro degli Orrori, Verdena, stoner vario e tanto altro ancora. Loro stessi si definiscono violenti , ma non disdegnano di fare l'occhiolino ad atmosfere meno aggressiva e più intime. Anche i testi hanno una loro personalità, non banali, ma neanche impegnatissimi. Dopotutto i Santina è Morta fanno musica, non propaganda. Tanto per citare alcuni pezzi, il singolo "Il Sole al Mattino" è un bel ceffone in chiave sentimentale fatto di bei riff distorti e ritmica trascinante. Dopotutto una persona normale non ascolta Noemi o stronzate varie quando è giù perché è stato mollato. Ha bisogno di gridare la sua rabbia e delusione, non di deprimersi con le solite nenie pop. Personalmente mi piacciono anche gli altri brani, in particolare "Angina" per le chitarre piene di delay e riverbero, le esplosioni sonore e quella atmosfera spaziale che non guasta mai. Per essere un EP di cinque pezzi registrato in presa diretta in un giorno, lo ritengo già di ottima fattura. Aggiungici poi un folder in cartoncino fatto a manina con tanto di croce nera ritagliata, il successo è assicurato. Bravi, mi sa che ci rivedremo presto. A proposito, Santina è morta veramente. (Michele Montanari)

Ende – Whispers of a Dying Earth

#PER CHI AMA: Black, Emperor, Bathory, Taake
Questo primo full lenght del progetto solista del compositore bretone I. Luciferia è uscito nel 2012 per Obscure Abhorrence Productions ed è composto da nove brani per un totale che supera i quaranta minuti. La musica si snoda tra le terre tortuose del black metal ortodosso degli Emperor, dei Bathory e la furia dei Taake, mantenendo comunque una buona dose di originalità ma soprattutto un tiro micidiale, unito ad una vorticosa e continua malvagia frenesia che coinvolge fin dal primo ascolto e ci proietta in una densissima nebbia oscura. Dopo l'intro rituale, l'atmosfera si fa ferale, martellata da una batteria superba e onnipresente che condiziona molto positivamente il sound dell'intero album, supportando a dovere la continua ricerca di melodia e forza voluta dal nostro autore. Splendida la prova per questa one man band alle prese con quasi tutti gli strumenti e anche vocalmente, tra screaming lancinanti e growls il mastermind francese (impegnato anche nei progetti Reverence e Osculum Infame) se la cava degnamente, anzi potremmo dire con classe. Il sound risulta potentissimo, impietoso e maestoso; di buona qualità la registrazione, l'album fila velocissimo anche se un po' statico per il genere, fatto d'umore nero, pensieri pesanti e profondi, visto che tutti i titoli che lo compongono trattano l'oscurità. Tutto è ben gestito e calibrato a dovere, il suono è maturo, violento e mai banale, ricercato soprattutto nell'insieme e nelle parti melodiche. Infatti non emergono virtuosismi, ma quello che si nota e ci resta più nelle orecchie è proprio l'uniformità della musica in tutte le sue tracce. Gli Ende non perdono mai di vista l'effetto blastbeat finale, l'assalto frontale e il punto di vista globale della situazione, pregio per altro di pochi musicisti. Nota di merito alla track numero sette "Our Funeral" (la mia preferita!) che condensa a mio avviso il senso della musica degli Ende ossia velocità, malinconia, tristezza e rabbia nera con una classe elevata che in questo caso si mette ancor più in evidenza con un ponte acustico di notevole caratura, prima di un finale al vetriolo. Il finale contrasta tutte le altre tracce mostrando il lato intimista degli Ende, concludendo tra cori mistici, arpeggi e suoni ambientali di un mare agitato e freddo come quello di Bretagna. Gli Ende sono una band con un potere di fuoco esagerato e speriamo che questo primo full lenght rappresenti solo l'inizio della battaglia! (Bob Stoner)

(Obscure Abhorrence Productions)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/ENDE/318388168188998

Aeternal Seprium - Against Oblivion's Shade

#PER CHI AMA: Heavy Power, Iron Maiden, Domine
Formatisi nel lontano 1999 a Contado del Seprio (Varese) con il nome Black Shadows, nel corso degli anni i nostri hanno modificato la line-up, mantenendo 3 dei membri fondatori (Leonardo Filace, Matteo Tommasini e Santo Talarico) e accogliendo, 3 anni dopo, il cantante Stefano Silvestrini. Nel 2007 l'act lombardo registra il primo demo, ”A Whisper From Shadows” con il nome Aeternal Seprium, nel frattempo entra un secondo chitarrista arrivando alla formazione odierna. Nel 2009 esce un altro demo ”The Divine Breath of Our Land”, e nel 2011 finalmente esce il primo e vero album, che mi accingo ad esplorare. Si parte con ”The Man Among Two Worlds” e “Vanaglory” di chiaro stampo "iron-maidiano”: vigorosa, ritmata, cantata con tutta l'energia che si ha in corpo. I testi sono sia in inglese che in italiano. Degni di nota sono gli acuti, più e meno prolungati, che conferiscono, in una, una nota di heavy metal più puro; nella seconda, è da ricordare il lungo e magistrale assolo di chitarra verso il terzo minuto. “Sailing Like the Gods of the Sea” si avvicina più al thrash, ma senza mai dimenticare l'influenza di Bruce Dickinson & soci: a volte la portanza vocale è talmente ricca e ingente, che mette la pelle d'oca a sentirla. “Soliloquy of the Sentenced” placa gli animi e diventa più modulata, epica: la batteria suonata con furore, le chitarre accordate più basse offrono toni smorzati che rendono una sensazione più composta. “In Sign of Brenno” a tratti ricorda i primi Metallica, ma sono più che altro piccoli lampi, anziché una vera e propria ispirazione. “Victimula's Stone” si avvale di un bel chorus che dà un maggiore impatto e un'aria più dinamica al tutto. “Solstice of Burning Souls”, alle prime note, sembrerebbe indirizzata verso una melodia più morbida, ma dopo quasi un minuto tutto torna come sempre. Da evidenziare soprattutto la preponderanza della chitarra messa a frutto: fa venire la pelle d'oca. Dicevamo delle parti cantate in italiano: è il caso di “L'Eresiarca”, ballad scritta e cantata nella lingua tricolore. Oserei pure ricordare un che di Marlene Kuntz in questa cantica proprio per il suo stile vocale. Piccole venature medievali si possono cogliere nel corpo di “The Oak and the Cross” e “Under the Flag of Seprium”, un omaggio alla loro terra natia. Si chiude questo mistico viaggio in terre e mondi lontani, pieni di battaglie e cavalieri: una pubblicazione prorompente e vigorosa che ti carica e ti porta ad affrontare meglio una lunga giornata nel segno del metal. (Samantha Pigozzo)

Kastete - Ideju Imperija

#PER CHI AMA: Hardcore Punk, Sick Of It All
Dopo qualche ascolto non trovo molto da dire su questo lavoro dei lituani Kastete, letteralmente "L'Impero delle Idee", titolo che speravo mi avrebbe condotto verso un'opera introspettiva e particolare. Si capisce subito che i Kastete sono un gruppo da palchi e non da disco. L'album alla fine è leggermente monotono, e presenta delle composizioni e liriche in classico stile punk hardcore che strizzano l'occhio a soluzioni più contemporanee vicine al metalcore, sopratutto nella parte finale del disco; lo stesso dicasi a livello grafico. Tanta (forse troppa) velocità, precisione e pulizia, rendono l'album a tratti ripetitivo e piatto, privo di quel mordente che da sempre caratterizza questo genere. A livello di strutture compositive, qualità sonora e presentazione visiva si tratta di un album eccellente, ed è proprio per questo che "Ideju Imperija" rischia di affondare in una palude di freddezza ed inespressività. (Kent)

The Pit Tips

Bob Stoner

Solstafir - Kold
Megadeth - Super Collider
Blood Ceremony - The Eldritch Dark
---

Francesco “Franz” Scarci

Tesseract - Altered State
Shade Empire - Omega Arcane
Vukari - Matriarch
---

Mauro Catena

Fine Before You Came - Come Fare a non Tornare
Jack B. Kisberi - Another Nobody's Diary
Mark Lanegan Band - Blues Funeral
---

Michele “Mik” Montanari

Santina è Morta - EP
Ministri - Per un Passato Migliore
Acid King - III
---

Kent

Ulver - Blood Inside
Morbid Angel - Domination
Eyehategod - In the Name of Suffering
---

Roberto "Godtech" Alba

Summoning - Old Mornings Dawn
Ulver - The Norwegian National Opera
Sólstafir - Svartir Sandar