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mercoledì 11 luglio 2012

Zuriaake - Winter Mirage

#PER CHI AMA: Black Ambient, Burzum
Li abbiamo scoperti un paio di mesi fa con il loro primo album “Afterimage of Autumn”; li ritroviamo oggi con un EP di 2 pezzi, che in realtà non è altro che una re-release uscita nel gennaio 2012, del bonus cd della versione limitata del primo lavoro. Eccoli i cinesi Zuriaake e il loro black di chiara matrice “burzumiana”. Apre la title track, che con i suoi sette minuti torna a riportare in auge i suoni lenti, soffocanti e al contempo gelidi di “Hvys Lyset Tar Oss” del buon vecchio Varg Vikernes. Gli stilemi del genere sono sempre gli stessi: chitarre graffianti, zanzarose e poi le classiche keyboards che rimbombano minacciose nel sound mortifero del terzetto di Ji'nan. Mistici senza dubbio, ma alla fine un po’ troppo uguali all’originale. “Valley of Loneness” ha invece una presa alquanto differente: pur mantenendo la struttura del black ambient norvegese, presenta una chitarra un po’ più robusta, suoni meno compassati, una maggiore verve in chiave sia strumentale che musicale. Parliamoci chiaro, niente di trascendentale; queste 2 tracce integrano semplicemente le altre song del precedente lavoro. Ora mi attendo decisamente qualcosa di più concreto e in grado di mostrare una certa maturazione da parte del trio cinese. (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto: 60


La band in questione arriva dalla Cina e precisamente da Ji'nan, Shandong province ed è attiva dal 1998. L'album di casa Pest Production è l'ultima delle loro fatiche che consiste in due cd e questo EP composto da due lunghi brani (il cd è datato 2012 anche se i brani sono stati registrati e mixati nell 2007 al tempo del secondo full lenght “Afterimage of Autumn") molto suggestivi ed evocativi di “black metal” caratterizzato da atmosfere cupe e molto melodiche giocate sulla falsa riga del più radicale “black svedese” ma arricchite sullo sfondo di sonorità vicine alla musica folklorica cinese. Attenzione però, non pensiate alla solita cozzaglia di brani metal e folk equamente divisi a metà con ponte floscio folk e cavalcata, niente di tutto ciò, qui troverete due brani violentissimi e dalle atmosfere profondamente “nordiche” virate da un retro gusto geniale e ben calibrato tutto dagli occhi a mandorla. Il primo brano dal titolo tradotto in inglese dal cinese in “Winter Mirage”, parte con una cadenza lenta e ferale per poi aprirsi immediatamente a sferzanti “screaming” molto ad effetto (gli screaming sono strepitosi!), l'incedere è lento e glaciale e la voce veramente bella e diabolica scivola lentamente in un baratro senza fine sorretta da accenni di tastiera che stendono un tappeto tanto “nero” e astratto quanto sulfureo. In realtà è l'effetto globale del brano che stupisce per forza d'espressione e quel clima estraneo e rarefatto, tipico delle lande cinesi è straordinario. La forza evocativa/meditativa del secondo brano intitolato “Valley of Loneness” è una pioggia di emozioni soprattutto e insisto, nelle tastiere e negli effetti d'ambiente, che portano l'ascoltatore ad entrare in un tristissimo oscuro giardino orientale. L'effetto che si prova è quello di ascoltare le bordate taglienti di Carpathian Forest e Dark Funeral unite alle atmosfere di Alcest ma con più oscura e orientale freddezza senza inutili romanticismi. Potremmo infine avanzare l'ipotesi che se i Zuriaake non fossero cinesi ma francesi, qualche band transalpina dell'ultima ora non dormirebbe sogni tranquilli. Consigliatissimi! (Bob Stoner)

(Pest Productions)
Voto:75

lunedì 9 luglio 2012

Eternal Samhain - Obscuritatis Principium

#PER CHI AMA: Black Gothic, Cradle of Filth
Vedo percolare, al lume di una nera candela, da una malsana e demoniaca stigmata, impressa su una mano di Gloria, lente, calde, rosse gocce di densa ceralacca a sigillare un occulto, dannato, oscuro, tesoro. Si fondono, piano, senza fretta alcuna. Vi vedo imprimere un pentacolare sigillo con elementi terra e fuoco puntati verso l'alto, per celebrarli e lo spirito, dannato e consacrato al male, puntare verso il basso, addirittura sorvegliato e tenuto sotto scacco, da due famelici mastini. Non so quale famelica entità si sia scatenata nel momento stesso in cui ho osato spezzare quel sigillo: quando l'ho fatto, la luce, che fino ad un istante prima mi circondava è, per un attimo, quasi venuta a mancare, sopraffatta, succube delle tenebre. Mi avventuro in questo iniziatico percorso in cinque tappe e comincio ad assaporarne, ad apprenderne, il primo dei cinque arcani segreti che con Fatima, nulla hanno a che fare. M'incammino, accompagnato da logoranti note di tastiera, sul sentiero di "Ante Lucem" che mi introduce in questo sacrilego rituale. Avverto la melodia di "Black Frame" esplodere con l'avvento di chitarre distorte e batteria. Incontro in questa mia crepuscolare incursione, un vecchio saggio. Piegato dal tempo sul suo nodoso bastone, vestito di stracci, in preda al delirium tremens, cieco, del tutto privo degli occhi, maleodorante per suppuranti ferite, mi allunga la sua rachitica mano. M'invita a seguirlo. Sarà lui la mia guida: comincia a conversare in quel suo magnifico growl cavernoso, sembra il canto di un vulcano ma è la sua voce naturale, non avverto infatti sforzo alcuno o un'autoimposta forzatura. Ottima prova quindi, quella del vocalist. Crescendi di batteria, oculati e sapienti accenti di piatto, molte gustose galoppate di doppio pedale, accompagnate da deliziosi soli di chitarra, rendono quest'opener una perla. Sono decisamente soddisfatto. Chissà cos'altro m'attende... continuo a camminare seguendo questo mio nuovo amico che già si è conquistato la mia fiducia e lui m'illustra, con la sua parlantina sempre più spigliata e veloce, le meraviglie della dannazione con "Vas Damnationis", un vero e proprio incantesimo musicale da cui resto immediatamente folgorato: un po’ come S. Paolo sulla via per Damasco, solo che qui si tratta di me sulla via della dannazione, strada che non ho mai smesso, né mai avuto intenzione di abbandonare o paura di calcare. È questa musica, quest'armonia, questo sconsacrato ambiente naturale di cui da sempre sono famelico e che assolutamente non potrò mai, mai farmi mancare. È come una sorta di perversa, erotica eccitazione: ogni volta che ne assaggio, ne vorrei sempre di più, ancora, ancora e ancora... Le melodie si fanno più selvagge, s'inviperiscono: non vedo più corde su quelle chitarre, sbiadiscono lasciando il posto a venefiche serpi che s'aggrovigliano, sibilano sempre più inacidite e ad ogni successiva plettrata, cercan di morder le dita di chi suona, senza riuscirvi mai. Troppo veloci, troppo precisi quei movimenti. Giungo nei pressi di un lago dalle calme acque. Sembrano immobili. Su di esse, si riflette maestosa la luna che su questa levigata superficie scivola, sembra disegnare. Il suo incedere sicuro, come la sfera di una biro, allunga la sua falce. S'illumina sempre più, sempre più pronta a mietere vittime. Dapprima non odo alcun suono. Poi, al suo centro, su di un levigato sperone roccioso, accarezzato dalle nebbie e che per questo scorgo solo a tratti, intravedo una figura. È una magnifica ninfa. Con la sua arpa m'introduce alle peccaminose note di "Sinful In Every Choice". È di così bell'aspetto che ne resto fin da subito ammaliato. Quali indicibili pensieri sfiorano la mia mente drogata da quelle ipnotiche, sinergiche e velocissime tastiere. Mi trascinano nel più largo, profondo e potente dei Maelstrom. Pause cadenzate valorizzano ritmiche metronomicamente perfette che scandiscono quest'armonia giocosa, guizzante che riesce pian piano a perturbare, quella calma piatta che da tempi remoti e fino ad un istante prima, regnava in quei luoghi. Il mio viaggio, purtroppo, e spero solo per ora, si conclude con la title track "Obscuritatis Principium", un ricettacolo di tutti gli ingredienti visti finora, una degna chiusura di un seppur breve ma magnifico sogno dal quale non vorrei svegliarmi mai. Sono le ultime parole di quel mio curioso compagno di ventura, a chiudere questo mio viaggio spirituale che non poteva concludersi senza una decisiva maledizione. Dopo essere stato infatti fin da subito e per tutto il tempo gentile con me, dopo essersi conquistato la mia fiducia, ed avermi fatto desiderare ardentemente quella dolce ninfa, si gira di scatto, mi guarda con quelle due sue orbite nere, profonde e... vuote. Sprofondandosi lentamente nel terreno, ricongiungendosi agli inferi dai quali era venuto al mondo, mi maledice in eterno con codeste parole: "Obscuritatis Principum Proxima Est Omnibus Damnatio Damnatio Damnatio Damnatio". (Rudi Remelli)

(Self)
Voto: 80
 

venerdì 6 luglio 2012

Devotion. - Sweet Party

#PER CHI AMA: Post-HC, Nu Metal, Deftones
Anche se non sono per niente un amante di codeste sonorità, con i Devotion mi trovo davanti un'opera dove è impossibile non riconescere la pregiata fattura del debut album della band vicentina. Il sound è moderno ed imponente, ma è la voce la vera protagonista di questa release. Potente ma allo stesso tempo delicata, riesce a catturare l'ascoltatore grazie alle sue parti pulite alternate a degli scream più vicini all'hardcore.Il primo impatto è un'ondata sonora degna di considerazione, che perfino io riesco ad apprezzare. Il disco presenta delle tracce incisive e registrate con grande cura; la formula dei nostri è chiara: un mix di suoni candidi, momenti screamo e passaggi pressochè omogenei, livellati da un'aria melodica e sdolcinata. Si nota durante tutto il disco quell'atmosfera pop/catchy che abbraccia ogni passaggio dell'album, dalle parti più post-HC a quelle più tendenti al nu metal, riuscendo nell’intento di amalgamarle perfettamente. Del resto la produzione è perfetta, eseguita da Shaun Lopez, e credo che anche a voi, al primo ascolto di quest'opera, avrete pensato "i suoni mi ricordano tanto i..." rivolgendovi a una di quelle migliaia di band della NWOAHM nate tra i '90 ed i primi '00. Purtroppo non posso neanche dilungarmi sui difetti, perchè non ce ne sono di così rilevanti, a parte il peso di aver un disco da meno di 30 minuti. (Kent)

(Bagana Records)
Voto: 75

giovedì 5 luglio 2012

Ogen - Black Metal Unbound

#PER CHI AMA: Black/Thrash, Gehenna, Dimmu Borgir, Old Man's Child
Respiro l’aria, sembra quella che imperversa le gelide foreste norvegesi; l’atmosfera palpabile è quella tipica degli act nordici, quali Ancient, Gehenna o dei primissimi Dimmu Borgir. In realtà però non ci troviamo poi cosi tanto lontani dalle mie due città, Verona e quella d’adozione, Como. Gli Ogen sono infatti originari di Brescia e propongono questo black metal controllato, a tratti epico e atmosferico, che ci riconduce alle sonorità di metà anni ’90, proponendo un riffing glaciale, ronzante, che spesso si spinge in territori thrash, un po’ sulla scia degli Old Man’s Child, mentre talvolta va alla ricerca di una ritmica più articolata, quasi di scuola svedese (mi vengono in mente gli Opeth di “Morningrise”), ad esempio ascoltando la terza “Crest of the Forgotten”, che propina questo mix di black thrash old school. Niente male, anche se la classica frase del “già sentito”, può emergere più volte nell’arco di questo EP di cinque pezzi, come capiterà inevitabilmente anche a voi, durante l’ascolto della quarta “As a Leaden Sun Shineth Upon”, la cui sezione ritmica rischia di essere un po’ troppo thrashettona e scontata. A tirare su un po’ l’andamento della song, ci pensa però l’utilizzo di clean vocals che donano un attimo di quiete, alla tempesta che infuria. La conclusiva “A Sleep Slope to Desolation” ancora una volta affascina per l’utilizzo di vocalizzi che sanno quasi di shoegaze, che si affacciano tiepidamente, nel mezzo di uno screaming maligno e una ritmica selvaggia. Torvi. (Francesco Scarci)

(Kolony Records)
Voto: 70 
 

Kayleth - Rusty Gold

#PER CHI AMA: Stoner Rock, Psych/Doom Metal, Orange Goblin, Sleep
Sole, cactus, una radio in sottofondo (non sembra Radio Popolare Verona dall'accento) ed una motoretta. Sì presentano così i Kayleth, antica band del veronese, arrivati alla pubblicazione di un modesto EP dalla durata di 20 minuti, poco più. Eh sì, me la ricordo ancora quella sera dove venni in possesso di codesto disco. Ero al buon vecchio Sabotage Bar di Vicenza, troppo sobrio per quell'epoca, perchè volevo assolutamente assistere alla performance di questo rinomato gruppo che passava dalle mie parti. E come è tradizione ai concerti, ogni gruppo estremamente bravo, ha estremamente poco pubblico. In questo caso, avevano solo me. E non so se per premiarmi, o spinti dai miei complimenti, mi donarono questa loro prima fatica. L'EP pecca nella sua presentazione in busta ma controbilancia perfettamente con un vynil cd e un suond eccellente per qualunque appassionato dello stoner. Il disco alterna composizioni movimentate come la title-track, a brani di matrice più space-psichedelia, ad esempio la mia preferita “Old Man's Legacy“ e la opening-track, con il tutto reso più pesante da una spruzzata di doom classico qua e là. La produzione è calda e pulita, rendendo udibile perfettamente i singoli effetti che gli strumentisti ci propinano continuamente. Subisco sbalzi da assoli stuprati da wah, enormi riff flangerati e phaser sotto acidi. Anche il basso non scherza, alternando un fuzz selvaggio ad un clean delay, che ci immerge in un totale climax sotto l’effetto di peyote. La band mi disse che aveva pronto un altro EP che attendo ansiosamente, io continuo ad esortarli per la produzione di un LP e spero che prima o poi arrivi. Intanto vi consiglio molto, ma molto caldamente, di ascoltarli, e di andarveli a vedere dato che suonano raramente. (Kent)

(Self)
Voto: 75

lunedì 2 luglio 2012

Celeste – Morte(s) Nee(s)

#PER CHI AMA: Blackcore, Iskra, Deathspell Omega, Ondskapt
incontrato questi quattro simpatici ragazzi provenienti dalla Francia poco tempo addietro. Hanno fatto un concerto eccezionale. Sono così hardcore che hanno tutte le loro opere in free download nel sito dell'etichetta. Mi dissero di scaricare tutto, fargli una simpatica recensione e promuovere il verbo del Signore Oscuro attraverso il Pozzo dei Dannati. Ecco, fatto. Questi Celeste sono una pettineria assurda. Appena comincia il disco mi pietrifico davanti al muro sonoro di “Ces Belles De Rêve Aux Verres Embués”, colma della sua abbondanza di grancassa e resa mastodontica dai synth (suonati dai colleghi di etichetta Les Fragments De La Nuit). “Morte(s) Nee(s)” continua senza sosta, pieno di violenza sonora. Assolutamente da menzionare la sesta traccia, “(S)” con la sua cadenza ipnotizzante e il suo ambiente di sottofondo carico di tensione. Il disco sembra essere un'evoluzione sonora delle tracce, partendo da momenti più massicci e malvagi come “'Les Mains Brisées Comme Leurs Souvenirs” e finendo con il più totale dolore e nichilismo delle ultime composizioni, come “De Sorte Que Plus Jamais Un Instant Ne Soit Magique”, dove i compagni Les Fragments De La Nuit riescono ad inserirsi perfettamente con gli archi, guidando il finale dell'opera. Del passato Post-HC c'è ancora traccia, basti notare gli scream e i breakdown, ma in quest'opera viene brutalmente soppresso dai riff di matrice black, appesantiti all'estremo con una punta di sludge e da una innovativa batteria pesante come poche, che riesce sempre a trovare la combinazione giusta per non risultare mai troppo monotona, come capita assai spesso nell'ambiente dei blast-beat. Ma il vero tocco innovatore, oltre le divagazioni sludge, è dato dall'aiuto dei Les Fragments De La Nuit, che riempiono ogni crepa con i loro imperanti synth, che combinati alla furiosa grancassa ed agli strumenti droppati al massimo, trovano la loro collocazione ideale per rendere questo full-lenght nat(o) mort(o). (Kent)

(Denovali Records)
Voto: 85

Warmblood - Timor Mortis

#PER CHI AMA: Brutal Death, Necrophagist, Dying Fetus
I lodigiani Warmblood si ispirano per questo loro secondo full-lenght al grande Lucio Fulci. Purtroppo questa premessa non mi farà piacere di più l'opera da loro proposta. Appena inserito il disco, come quasi sempre, da buon bassista, attendo ansiosamente di ascoltarmi le tracce di basso. Qua però non riesco a cogliere le frequenze. Dopo aver provato quattro diverse postazioni musicali rinuncio, e per sapere dove è stato registrato, noto nel booklet che è proprio il bassista a mancare. Leggermente colto dalla disperazione, tuttavia consapevole della mia sanità mentale ed uditiva, mi accingo allora alla completa scoperta dell'album. La mancanza di basse frequenze però non è l'unica cosa a colpirmi negativamente. In primis, la voce gutturale che in certi frangenti arriva ad un fastidioso pig squeal. Di notevole rilevanza di contro, le linee di chitarra. Più che sul death metal qua sarebbe più consono parlare di thrash, non solo come linee compositive, ma anche come brillantezza di suono e di tonalità. Un'altra grande sorpresa si ha quando il trio lombardo arriva a completare le proprie opere con melodie ed intermezzi neoclassici assolutamente fuori luogo, aggiungendo sapientemente in certe occasioni strumenti come violoncello o pianoforte. Di certo non aiuta una produzione secca in questa release già priva di profondità. Il vero intralcio di questo disco sono le strutture. Le ritmiche non cambiano, i riff tendono all'omogeneità, la batteria pesta ma senza grande risalto, nel prolungarsi anche nelle originali parti melodiche che perdono tutto il significato e freschezza. Purtroppo questa formula caotica finisce col rendere poche canzoni degne di un ascolto apprezzabile. Rimandati! (Kent)

(Punishment 18 Records)
Voto: 55

Belakor - Of Breath and Bone

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity, Edge of Sanity
Avviso ai naviganti: una perturbazione di origine scandinava è arrivata pericolosamente alle coste australiane, scatenando una spaventosa ed improvvisa tempesta di ghiaccio. Strano per l’immenso paese oceanico trovarsi investito da una simile e improbabile situazione atmosferica che risponde al nome di Be’lakor. Nome assolutamente non nuovo su queste pagine, dal momento che ci siamo accorti dell’act australiano in occasione del loro secondo capitolo “Stone’s Reach”, che uscì nel 2009 per la nostrana Kolony Records, che bissa con questo brillante lavoro, quanto di buono fatto in passato. “Of Breath and Bone” prosegue sulla strada della precedente release con un sound che viaggia costantemente su coordinate death progressive, acuendo però in questo caso la componente swedish, sin dall’iniziale “Abeyance”, dove l’influenza dei Dark Tranquillity è assai palese nelle arrembanti linee di chitarra, cosi come pure nell’inizio di “Remnants” o nell’apertura di “In Parting”. Diciamo che la band di Michael Stanne e soci diventa il primo punto di riferimento per il quintetto australiano e sinceramente la cosa non mi disturba affatto, anzi ben venga se questo è il risultato. Ottime le linee di chitarra, sempre molto ricercate e melodiche (fenomenale la linea di “Fraught”, costantemente accompagnata da malinconici tocchi di pianoforte), possente il growling di George, la cui impostazione può ricordare quella del vocalist dei Saturnus e in taluni frangenti (proprio come in questa song), anche il sound più oscuro dei nostri, può rievocare quello dei maestri del death doom danese. Ed ecco quindi emergere anche l’anima doomsters dei cinque ragazzi di Melbourne, anche se poi è il melo death svedese ad esplodere più forte che mai. Non so che cosa sia successo ai nostri eroi australiani, ma di sicuro ha portato un’ulteriore ventata di freschezza alla proposta dei Be’lakor, capaci di proporre anche ritmiche più sognanti come quelle di “Absit Omen”, prima che un’inferocita ritmica in stile Edge of Sanity, prenda in mano le redini del pezzo. Indiavolati, progressivi, melodici, apocalittici, brutali più che mai; questi sono i Be’lakor targati 2012, per nostra somma gioia. Ancora una volta l’Australia dopo Ne Obliviscaris, Aquilus e Germ, partorisce un’altra piccola gemma nel panorama estremo, ad indicare che laggiù, dall’altra parte del mondo, c’è ancora un bel po’ di spazio per potermi stupire. (Francesco Scarci)

(Kolony Records)
Voto: 80

http://www.belakorband.com/

Legen Beltza - Need To Suffer

#PER CHI AMA: Thrash, Exodus, Kreator, Testament
Non lasciano scampo questi Legen Beltza. Un tupatupa attaccato l'altro. Cari amici, vi dico già di ascoltarli solamente se siete dei veri thrasher e non gente che, giustamente, si annoia dopo il trillionesimo riff così veloce da sembrare quasi uguale ai precedenti, o per la classica voce urlata e una batteria che conosce poco oltre il charleston ed il rullante. Il gruppo basco con questo “Need To Suffer” è arrivato al quarto full-lenght di una pluridecennale carriera. Si vede bene però che i quattro ragazzotti dalla penisola iberica sanno fare il loro lavoro, perché, nonostante la classica monotonia del genere, riescono ad incastrare velocità, virtuosismo e melodia. Dieci tracce una più violenta dell'altra si alternano in questi 50 minuti con una batteria sempre in agitazione e un riffing cavalcante, spregiudicato che lascia senza respiro. Veramente brutali queste composizioni, roba che ti metti a fare circle pit per le piazze di Padova mentre vai all'università. Se analizziamo attentamente il disco, oltre che i suoni travolgenti frutto di un'ottima produzione, possiamo notare ahimè una troppa leggerezza riguardo in sede di arrangiamenti che incidono sulla compattezza dell'ascolto. Un altro punto da osservare è l'immensa quantità di tecnicismi, a mio avviso cosa aberrante per un gruppo thrash che dovrebbe ignorantemente pensare solo a far casino. Scherzo, ci stanno proprio bene nelle loro composizioni, anche perché ad ogni ascolto si possono scoprire nuovi piccoli particolari, e non solo a livello delle linee di chitarra. Detto ciò, se siete amanti della velocità estrema e dei tupatupa a tradimento, vi consiglio caldamente di ascoltarvi questo “Need To Suffer” dato che è non è il solito banale thrash metal che in questo periodo di revival, molte band mediocri ci propinano. (Kent)

(Punishment 18 Records)
Voto: 65 

giovedì 28 giugno 2012

Heresy - Knights of God

#PER CHI AMA: Thrash, Megadeth, Metallica, Overkill, Metal Church
Seconda fatica per la band da Ancona attiva dal 1997 che ci propone un thrash metal classico con spunti heavy. L'album contiene delle decenti composizioni in tipico stile eighties’, con protagonisti riff scontati e spedalate di grancassa. Durante l'ascolto passiamo nell'imbatterci da tracce furiose a brani più tranquilli ma coinvolgenti, come “Alone in the Dark” di cui ci propongono una versione acustica alla fine del disco. L'album si apre con un scarica di adrenalina grazie alle tracce “Apocalypse”, “Heresy” e la title track, le quali ci travolgono con tutta la potenza del thrash marchiato Bay Area. Ma la band sa catturare l'attenzione dell'ascoltare, perché il songwriting non persevera nella classica “thrashata” al fulmicotone, ma riesce attraverso piccoli ma complessi fill di chitarra a ravvivare i riff ed a parti melodiche al limite della ballad a rendere sempre più curioso questo cd. Punti critici per questa pubblicazione sono essenzialmente le inette parti vocali e una piatta produzione che incide sul disco in quanto mancante di brillantezza ed aggressività sonora. L'unica cosa che mi convince alla fine di quest'album sono gli interludi melodici che sono sempre azzeccati e, anche se un po' troppo prevedibili, colmano il vuoto di una release poco sotto la sufficienza. Ci si aspetta di più da una band che di esperienza dovrebbe averne a pacchi. (Kent)

(Copro Records)
Voto: 55

mercoledì 27 giugno 2012

Tacoma Narrows Bridge Disaster - Exegenis

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Tool, Russian Circle
Della serie piccoli Isis crescono… Eh si perché i Tacoma Narrows Bridge Disaster (che mi limiterò ad abbreviare come TNBD) hanno un’attitudine che si rifà decisamente ai maestri americani del genere, Russian Circle, Tool e appunto i già citati Isis. Sorprendenti, non c’è che dire. Gongolo già per la scoperta di questa nuova band, capace di regalarmi alt(r)e sopraffini emozioni. Decisamente il post metal sta prendendo una piega notevole nella mia vita, mi sta facendo appassionare notevolmente ad un genere che non avevo molto considerato gli scorsi anni, che in realtà mi produce delle vibrazioni a cui non riesco a rimanere indifferente e i TNBD contribuiscono notevolmente a questa mia crescita interiore. La strumentale “Fractal World” apre “Exegenis” e questo mi fa supporre che i nostri abbiano proseguito sulla scia del precedente lavoro, offrendo solo tracce senza una componente vocale. Niente di più sbagliato quando a partire è la seconda, la title track, che mi offre la brillante performance di Dylan Foulcher alle linee vocali, con il suo cantato suadente e pulito (stile vocalist dei Tool) e con le melodie del combo britannico che affondano le proprie fondamenta in un post rock massiccio, che contribuisce ad aumentare lo spessore della proposta dei TNBD. Godo ancora di più, quando anche suoni estremamente alternativi, ancora di matrice “tooliana”, emergono prepotenti dalle note dei nostri, a dimostrare il grande ecclettismo del quintetto d’Albione. Un’altra song strumentale, “Calligraphy”, scuote le mie membra, prima di cedere il passo all’ipnotica “Valis”, altro esempio di quanto sia possibile essere brillanti con un lungo pezzo strumentale, senza scadere necessariamente nella monotonia. Con “Black Iron Prison” ritornano in sella le splendide vocals di Dylan, mentre le chitarre disegnano paesaggi desolati, con la batteria invece che, assai nervosa, detta il tempo con continui cambi di tempo a dir poco imprevedibili e il sound dell’act inglese che sembra insinuarsi in territori tanto cari addirittura agli Archive. Sorprendenti e soprattutto consigliatissimi a chi ama queste sonorità a cavallo tra il post metal, il post rock e i suoni alternativi bassolinei, come sottolineato nella parte iniziale di “Sungazer”, altra perla dei Tacoma, che mi fa gridare definitivamente al miracolo. Atmosfere soffuse, batteria di scuola Isis, fiumi di malinconiche emozioni, intelligentemente confezionate e convogliate verso l’ascoltatore più esigente. Insomma, non so che altro dirvi per esortarvi a far vostro questo cd, che arriva tra l’altro in una elegante confezione digipack. Ottima musica, bravi musicisti, che volete di più di questi tempi… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 80

Infamous - Of Solitude And Silence

#PER CHI AMA: Black Metal, Kvist, Behexen
Dalle lande innevate e dai gelidi fiordi della Norvegia (ops, Sardegna) arrivano gli Infamous. Sorvolando la ricercata (ed assolutamente, introvata) truezza della copertina, mi accingo ad immergermi nel lavoro dei signori S.A ed Alessandro. Dopo alcuni secondi di adattamento a causa della bassa qualità della registrazione (ancora più bassa di come vuole la buona vecchia scuola black norvegese) mi inoltro nelle oscure foreste sarde, auspicando di trovare buona musica. L'intro di “Of Solitude and Silence” non è affatto male, prima di sfociare in un riff leggermente fuori luogo con la composizione. Fortunatamente la situazione migliora con l'avanzare della traccia, rendendola molto godibile. Addirittura saltano fuori da non si sa dove delle tastierine, che assomigliano molto a quelle degli anni d'oro dei Thyrfing. Traccia 3 – “Grey Euphoria”: non credo ci sia cosa più fastidiosa che abbia mai ascoltato nel mondo del black metal. A parte i gruppi nsbm ovviamente, quelli sono imbattibili. Veramente geniale comunque dato che subito non avevo letto il titolo. Premio all'originalità e alla sfrontatezza. Proseguendo l'ascolto, l'album non migliora, e tracce come “Rex Verminorum” e “Human Scum” riescono a malapena a rasentare la sufficienza, trasformandosi in un noioso passatempo musicale. Questo loro primo full-lenght però, non è così pessimo come sembra. È ascoltabile, se siete abituati ad ascoltare black intendo, anzi vi posso rassicurare dicendo che ho sentito cose ben peggiori e molto più conosciute (ma non voglio fare nomi anche perché magari a qualcuno piacciono veramente, vero Franz). Alcuni riff sono alquanto azzeccati e le tastiere ovunque siano, rinnovano quell'aria malsana di musica già sentita. È un peccato che “Lugore” sia l'outro dell'opera, perché con i giusti provvedimenti, poteva diventare la traccia di svolta dell'album, la vera sorpresa della pubblicazione. Ma il problema principale è che certe composizioni come “Spiritual Desolation” o la title track, che hanno veramente degli interessanti intermezzi, purtroppo si perdano nella dilagante banalità della traccia, disperdendosi in riff riciclati e interludi inetti. Da risentire. (Kent)

(Novecento Produzioni)
Voto: 60


I Sardi black metallers Infamous ci propongono questo album uscito per la Obscure Abhorrence e registrato nel 2010. La band vuole rievocare l'onda black degli anni novanta, Burzum, Graveland o Sargeist in testa, ma il suono del duo non mette in risalto la vera forza dei brani che vivono di sola luce derivata dalla tastiera onnipresente che evoca a fasi alterne atmosfere epiche e più tenebrose. L'impatto è scarno e derivativo, con composizioni monotone anche se suonate in modo molto intenso, la voce potrebbe essere un punto di forza ma l'effettistica la rende dispersiva e distante, l'artwork di copertina basilare, poco definito e ricercato. Lo sforzo creativo c'è e le idee pure ma non bastano per far decollare un intero lavoro che probabilmente si è voluto rendere più oscuro di quello che doveva, in realtà alcune melodie dell'album distano anni luce dal genere in questione e il suono in generale sembra sempre impastato nel fango, poi l'uso eccessivo della tastiera potrebbe aprire più prospettive in ambito symphonic/epic/prog metal che in ambito black. A nostro avviso una produzione e un mixaggio più consono l'avrebbe reso più corposo e competitivo, una veste più professionale avrebbe proiettato i nostri in un'orbita più moderna e di tutt'altro spessore. Comunque la band c'è anche se deve (s)chiarire le idee sulla direzione da prendere in futuro, noi proponiamo la traccia "Human Scum" come migliore dell'album e speriamo sia di buon auspicio per poter sentire l'act isolano nella sua forma migliore. (Bob Stoner) 

(Obscure Abhorrence  Prod.)
Voto: 65