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mercoledì 18 agosto 2021

Opium/Absinth - Nullified Thoughts

#PER CHI AMA: Noise/Hardcore, Eyehategod
E questi due da dove saltano fuori? Maurizio Cervella (basso e voce) e Mattia Fenoglio (batteria) sono le menti marcescenti che stanno dietro a questo insano EP, intitolato ‘Nullified Thoughts’, sotto lo stupefacente moniker Opium/Absinth. Cinque invece le tracce malsane da spararci in faccia come il più duro degli schiaffoni inflitto al peggiore dei nemici. Si parte con le dinoccolate ritmiche di “Burn the Bear” che si muove tra laceranti accelerazioni noise hardcore, math e rallentamenti sludge, mentre la voce di Maurizio si diletta tra vocalizzi quasi slam e caustici growling, il tutto in poco meno di tre minuti fatti di sonorità asfissianti e malvagie al tempo stesso. “Blasph Beat” ha un che di punk nelle pulsioni iniziali di quel suo dinamitardo basso (ma a proposito, la chitarra dov’è?). Poi, un frangente atmosferico spariglia le carte in tavola prima di ritrovarci al punto di partenza da cui tornare a far male con una ritmica carica di rabbia e dolore. In “Kelevra”, l’abbinata basso-percussioni è a dir poco ipnotica nel suo processo crescente, fino a quando i vocalizzi (davvero buoni) si prendono tutta la scena, vomitando il proprio dissapore in un contesto rumoristico in costante decadimento atmosferico. L’effetto è catalizzante quasi quanto quello dell’intervista shockante che apre “Bunch of Hookers and Cocaine”, un’altra song al vetriolo in grado di molestare i nostri sensi. A chiudere il tutto, ecco “Shattered Pelvis“ e le sue sonorità a cavallo tra sludge, post-hardcore e doom. Ruvidi signori questi Opium/Absinth. (Francesco Scarci)

(Vollmer Industries/Brigante Records/Longrail Records/Tadca Records - 2021)
Voto: 74

https://vollmer-industries.bandcamp.com/album/nullified-thoughts

lunedì 24 febbraio 2020

The Glad Husbands - Safe Places

#PER CHI AMA: Math/Post Hardcore, Botch
Se l’abito non fa il monaco, il nome di un gruppo può trarre in inganno. Potevano essere i cugini italiani di qualche gruppo indie-folk del Midwest americano, invece i The Glad Husbands si rivelano l’ennesimo prodotto della rumorosissima fucina cuneense, già culla di tanti nomi importanti che imperversano nella scena noise, stoner e hardcore nostrana.

Il loro ultimo disco, 'Safe Places', non si discosta molto dalla proposta dei loro “vicini di casa” Cani Sciorri, Treehorn e Ruggine (tanto per citarne alcuni), se non per una maggior vocazione nel mischiare punk e math-rock a scapito della produzione in massa di riff pachidermici, come testimonia il sound meno ingolfato di basse frequenze, il risalto dato al cantato urlato di Alberto Cornero e le strutture complesse di questi nove tiratissimi pezzi.

“Out of the Storm” traccia subito la rotta: intrecci turbinosi di basso e chitarra si susseguono aggrappandosi al tempo imposto dalla batteria, andando a comporre una sorta di marcia per plotoni di soldati in preda ad un attacco isterico. Isterico come gli sviluppi di “Where Do Flies Go When They Die?” e “Spare Parts”, brani in chiave mathcore che potrebbero essere stati partoriti con l’intercessione spirituale dei Botch, e dove, pressati dai riff convulsi e le ritmiche serratissime, iniziamo a chiederci quali possano essere i “posti sicuri” citati nel titolo dell’album. Forse in “Things That Made Sense” e “The Jar”, pezzi la cui struttura più varia ci concede qualche attimo di decompressione prima di rituffarci nei vortici sonori.

Finita qui? Macché: “Midas” scompagina tutto con la sua anima agrodolce, fatta di strofe nervose in procinto di esplodere, ma l’irruenza di “Cowards in a Row” e la travolgente “Meant to Prevail”, dove si possono cogliere riferimenti ai primi Mastodon, ci riportano nell’occhio del ciclone. La nostra corsa forsennata si conclude con “Like Animals”, dopo circa quaranta minuti di sconvolgimenti strumentali, ritmici ed emotivi.

I The Glad Husbands ci regalano una prova decisamente convincente e di personalità, riuscendo a risaltare in un mercato già bombardato di proposte e a farmi sperare di vederli al più presto trasmettere in sede live la carica mostrata su disco. Non male per il presunto gruppetto indie-folk del Midwest. (Shadowsofthesun)


(Antena Krzyku/Entes Anomicos/Longrail Records/Vollmer Industries/Atypeek Music/Tadca Records/Whosbrain Records/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 75

https://the-glad-husbands.bandcamp.com/album/safe-places

mercoledì 18 dicembre 2019

Calendula - Hiveminds - De Brevitate Vitae

#PER CHI AMA: Post Metal/Stoner
Li avevamo lasciati su queste stesse pagine in occasione dell'uscita di 'Aftermaths': era il lontano 2012. Ora i Calendula tornano sulla scena con un po' di novità in seno alla band. A quanto pare infatti, i nostri sembrano aver virato il tiro primordialmente black/crust/hardcore di quel disco, verso un sound più intimista. Questo è ciò che si evince dall'ascolto dei primi minuti di questa single track di oltre 25 minuti, che dà il nome al lavoro, ossia 'Hiveminds – De Brevitate Vitae'. Certo, il retaggio passato vive sempre nelle note di questi musicisti, palesandosi qua e là sottoforma di riff post-metal, atmosfere melmose in pieno stile sludge, schitarrate stoner, o più rade e sguaiate grida hardcore, senza tralasciare anche una certa vena psych che va a collidere con un più atmosferico post-rock. Insomma, l'avrete capito, saranno pure venticinque minuti di musica, ma quella dei Calendula è una proposta un po' atipica, che ha modo di strizzare l'occhiolino anche all'alternative, soprattutto in ambito vocale, con il frontman a testare nuove linee vocali che vanno ad affiancarsi anche a momenti di spoken words. La proposta della band è davvero interessante, stralunata quando al quattordicesimo minuto le chitarre sembrano in preda al delirium tremens o quando la band ricorda di essere transitata in passato in territori black, che al minuto sedicesimo diventano doom, in quella che resta comunque una nevrotica cavalcata corredata da molteplici stili musicali, e che al diciottesimo (sembra quasi una telecronaca di una partita di calcio) sembrano sforare anche nel math e poco dopo nuovamente nel black. Questo per dire che alla fine 'Hiveminds - De Brevitate Vitae' è un lavoro complesso che necessita di grande attenzione e pazienza per essere goduto appieno. Forse non vi piacerà subito, ma dategli più di un'opportunità e non ve ne pentirete affatto. (Francesco Scarci)

sabato 26 ottobre 2019

Treehorn - Golden Lapse

#PER CHI AMA: Stoner/Noise Rock, Post-Hardcore, Melvins, Unsane, Big Black
Gli appassionati di storia come me (appassionato suona meglio di nerd) si saranno sicuramente imbattuti nel termine “epoca d’oro”, usato per identificare l’apice di una civiltà, di una nazione, di una corrente di pensiero o artistica. Si tratta di fasi determinate dal contemporaneo verificarsi di condizioni favorevoli e che possiamo ritrovare anche su scala più piccola, come ad esempio nelle nostre vite: a tutti è capitato di attraversare un periodo particolarmente propizio durante il quale si saranno presentate occasioni lavorative, realizzazioni personali e conquiste sentimentali. Certo, nulla dura in eterno, l’epoca d’oro è destinata ad esaurirsi e magari ci saremo poi ritrovati a raccoglierne le macerie: è una legge storica ed è probabilmente il motivo per cui dovremmo soffermarci a godere di quei brevi momenti in cui tutto fila liscio, momenti d’oro appunto. In 'Golden Lapse', i Treehorn non raccontano di epoche d’oro, anche perché basta dare un'occhiata alle notizie di cronaca o scorrerne i commenti sui social per capire che sarebbe fuori luogo: l’intervallo di tempo di cui parlano potrebbe essere quello trascorso tra il 2014 a oggi, passato lontano dai palchi e senza dare segni di vita. Cinque anni di assenza sono praticamente un eone e un gruppo viene considerato spacciato per molto meno, tuttavia questa pausa è servita a far germogliare le idee del trio di Cuneo (zona dove peraltro non sembra mancare il terreno fertile per del sano rock pesante, basti pensare a Ruggine, Cani Sciorrì e Dogs For Breakfast), portando lo stoner/grunge del precedente 'Hearth' ad un nuovo stadio di evoluzione, ossia questi dieci pezzi stortissimi e furibondi che non appartengono completamente né allo stoner, né al grunge, né al noise o all’hardcore: sono dei Treehorn e tanto basta, i quali hanno miscelato questo e quel genere secondo una personale ed esplosiva formula. La prima traccia “The Recall Drug” mette subito in chiaro le intenzioni della band: è un missile sparato a velocità ipersonica verso coordinate tutte sbagliate e di cui è impossibile determinare la rotta, ma che sicuramente si schianterà su ciò che incontra. Pezzi come “Virgo, Not Virgin” (un richiamo a “Taurus, not Bull” presente su 'Hearth'), “The Same Reverse” e “Damn Plan”, si sviluppano tra spericolate cavalcate del più classico stoner rock ed improvvise destrutturazioni noise, dove la chitarra si lancia in tormentosi riff sghembi, sorretta dalle percussioni massicce e da un basso cupo e fangoso; in 'Golden Lapse' però c’è anche spazio per composizioni meno intricate e non per questo scontate o meno adrenaliniche, come “Onlooker” and “Hell and His Brothers”. “A Shining Gift” sembra essere uscita dopo un tamponamento a catena tra Unsane, Melvins e Big Black, mentre "Modigliani", che si apre con un feroce giro di basso, si avvicina invece al più malato post-hardcore, manifestando punte di estrema sofferenza e anche malinconia. Dopo il breve intermezzo atmosferico di “Lapse”, scandito da rade note di chitarra, ecco la conclusiva e pachidermica “Coward Icons” che tira le somme di tutto il lavoro. Quale sia il motivo conduttore dell’album è difficile stabilirlo: un invito al “carpe diem” probabilmente, tuttavia “Lapse” si può tradurre anche con “sbandamento morale” e i titoli di molte canzoni, così come l’artwork luciferino, potrebbero giocare sull’ambiguità del termine. In questi cinque anni di “ghosting”, ai Treehorn è accaduto quello che molti avrebbero sperato succedesse ai Tool negli ultimi tredici: trovare i giusti stimoli, le giuste energie, la coesione di tutti gli elementi della band, l’ispirazione più pura e quel pizzico di “machissenefrega, noi suoniamo” che è terreno fecondo per l’opera di un musicista. 'Golden Lapse' è un lavoro spaccaossa che gode di freschezza, suoni potentissimi e un efficace songwriting, il tutto magistralmente enfatizzato da una produzione fantastica (registrazione a cura di Manuel Volpe e master di Enrico Baraldi, scusate se è poco): prendetevi un attimo di tempo per ascoltarlo e vi garantisco che sarà il vostro momento d’oro. (Shadowsofthesun)

(Escape From Today/Brigante Produzioni/Vollmer Industries/Taxi Driver Records/Canalese*Noise/Scatti Vorticosi Records - 2019)
Voto: 80

giovedì 29 novembre 2018

Subtrees - Polluted Roots

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Grunge/Noise, Alice in Chains
Una Bologna violenta, inquinata fino alle radici esistenziali, un mostro che si aggira tra i portici alla ricerca di vittime per vomitargli addosso il mal di vivere. i Subtrees sono quattro sopravvissuti all'olocausto musicale degli anni '90 si ritrovano a condividere una sala prove nel sottosuolo bolognese, mescolando la loro rabbia in un mix di grunge e noise rock struggente e diretto. Sette sono i brani contenuti in 'Polluted Roots' atti a colpire chi ascolta attraverso i suoni ruvidi e spontanei di "Syngamy", perfetta intro che ipnotizza inizialmente con la ripetitività dei riff di chitarra che crescono fino all'esplosione distorta e all'urlo rauco che travolgono l'ascoltatore. Nel crescendo dell'album si passa a "Everything's Beautiful Nothing Hurt", una ballata scanzonata che s'insinua nei nostri neuroni che scaricano scosse ritmiche ai muscoli delle gambe e delle braccia per farci vacillare in una danza scomposta. Nota di merito per la perfetta scelta dei suoni che rappresentano un inno al grunge di Seattle con qualche sfumatura alternative, per non parlare poi del timbro vocale del vocalist che, nonostante la giovane età, risulta roco e avvolgente quanto basta. Un dono di natura probabilmente aiutato da centinaia di bionde e litri di nocino. Finito il warm up, il quartetto bolognese ingrana la quarta e ci allieta con brani più graffianti e carichi, come "Conversation #1" e "Conversation #2", una doppietta che alza il tiro, allontanando i nostri dagli arrangiamenti simil-pop dei primi brani ed iniziando la discesa nelle oscure profondità dell'io interiore. Il gioco si fa interessante, i riff di chitarra sono aspri, decomposti e ricostruiti in una forma noise, che insieme alla sezione ritmica nervosa ed irrequieta, accompagna la deflagrazione sonora. Gli stop & go tornano sempre utili per spezzare la frenesia ed inserire passaggi simil doom che distendono i nervi e preparano all'attacco successivo. Immancabile l'assolo struggente e sporco che avvinghia come una lingua di fuoco e ci incatena ancora di più ai voleri dei Subtrees. Affrontiamo "Motorbike", presunto tributo all'art cover che raffigura una vecchia Honda Goldwing degli anni '80, un cosiddetto cancello per la pesantezza, ma dal fascino indiscutibile come il brano che rappresenta. In bilico tra il grunge alla Alice in Chains ed il desert rock più mistico, la traccia inizia lieve e dissonante come un motore non perfettamente carburato e pian piano si scalda fino ad assumere la sua forma struggente. Le progressioni allungano il malessere e, ormai riversi a bocconi, arriviamo alla tanto agognata parola fine. Un progetto fuori dal tempo, che guarda indietro per trovare la propria identità e dare risposta alle domande di un'esistenza corrotta da chi è venuto prima di noi. Eredità pesante o no, il rischio di rimanere vittime è alto, troppo. (Michele Montanari)

(I Dischi del Minollo/ Vollmer Industries - 2018)
Voto: 75

https://subtrees.bandcamp.com/album/polluted-roots

mercoledì 21 febbraio 2018

Omza - Otto Maddox Zen Academy

#PER CHI AMA: Hard Rock/Post Grunge
Gli OMZA sono in cinque e sono di Trieste, una band giovane, matura e con un sound che convince e ammaglia sin dai primi minuti di rotazione del loro nuovo album 'Otto Maddox Zen Academy'. Ma andiamo con ordine. La band bazzica l'underground da qualche tempo anche se con nomi diversi e quest'album non fa che raccogliere i brani scritti finora e pubblicati da Brigante Records e Vollmer Industries. Il digipack è del tipo extra lusso, due ante in cartonato super pesante ed un booklet a ben sedici pagine con un artwork pulito e moderno dai toni scuri e netti. Le tracce sono nove e sono un vero e proprio excursus musicale tra rock, punk e pop, fusi tra loro in maniera convincente e dirompente. In "Birds", la opening track ha l'appeal prettamente rock venato di suoni british, dove i riff di chitarra fanno da spina dorsale alla traccia, ed insieme all'ottimo lavoro di batteria di basso, regalano un groove potente e filante. Accelerazioni, break, assoli e quant'altro in poco più di tre minuti e mezzo, in una canzone che racchiude gli OMZA e ne fa da manifesto musicale. "Motivational #1" è meno ammiccante, i toni si tingono di scuro e i pattern si fanno apprezzare per la loro dinamicità. Il vocalist ha un ruolo determinante come in tutti i brani, grazie alla sua timbrica sospesa tra Pierpaolo Capovilla ed Ozzy, che s'incastra perfettamente nel sound dei nostri e li rende riconoscibili dopo pochi secondi. Ottima anche la pronuncia, fondamentale se si vuole avere un appeal internazionale come quello cercato dalla band triestina. I testi invece non si spingono mai oltre al pop, peccato perchè avrebbero dato maggior spessore ad una produzione già di per sé molto buona. L'energià prorompente della band continua in "Time Machine", altro brano profondamente british rock che ricorda i vecchi Radiohead, ma meno sperimentali. Si fa apprezzare il break che rallenta e incupisce il pezzo che non vuole essere che una bella ballata spensierata, con bei riff di chitarra e arrangiamenti puliti. L'album chiude con un tributo al Duca Bianco e lo fa rivisitando un classico come "Moonage Daydream": il pezzo è sicuramente piacevole grazie ai suoni che dopo quarant'anni hanno fatto passi da gigante, ma si sente la mancanza di un tocco di glitter, quel qualcosa che ti fa scattare la scimmia e ti dice che il confronto con l'originale è stato superato con successo. Gli OMZA sono una band che lavora bene sui pezzi e produce bella musica, mettendoci pathos e sudore della fronte. Alla fine 'Otto Maddox Zen Academy' è sicuramente un buon album che andrebbe ascoltato dal vivo per poter meglio apprezzare quella chimica che dovrebbe crearsi tra band e pubblico, quella che non passa attraverso le cuffie o gli speakers. (Michele Montanari)

(Brigante Records/Vollmer Industries - 2017)
Voto: 75

https://omza.bandcamp.com/album/otto-maddox-zen-academy

mercoledì 1 novembre 2017

Petrolio – Di Cosa si Nasce

#PER CHI AMA: Experimental Ambient/Drone/Electro Noise
Enrico Cerrato è un musicista navigato che ha solcato i mari istrionici del metal (con gli Infection Code), del jazz/noise/punk (con i Moksa), dell'industrial (con i Gabbiainferno) e qui, nel suo progetto solista, si mette a servizio dell'elettronica per confrontarsi con la drone music più gelida e l'industrial più oltranzista, fatto di rumore sospeso, macchine robotiche e ritmiche glaciali, monotone e minimali. L'umore è nero come il nome con cui si fa conoscere e le composizioni sono agghiaccianti, cariche di solitudine, con una forma di shoegaze ipnotico e lacerato, dissonante e distorto, ottimo per descrivere il vuoto interiore. Suoni ve ne sono, sparsi qua e là, accordi decadenti e feedback condividono lo stesso piano di ricerca di confine col noise, scariche di batteria sintetica vengono tolte al mondo dell'elettronica per giocare con il metal o almeno con un'attitudine percepita dall'oltretomba, come se i Godflesh usassero i synth al posto delle chitarre. Un corpo estraneo da assimilare lentamente che penetra nelle nostre orecchie per far riflettere, per fare male, con quel suo rumore ammaliante, sottoscritto dai guru Dio)))Drone, Taxi Driver Records, Vollmer Industries, Toten Schwan Records, È Un Brutto Posto Dove Vivere, Dreamingorilla, Screamore e Brigante Records. L' album ha tutte le carte in regola per piacere agli estimatori dei vari generi ambient, industrial e drone estremo e sperimentale. Questo primo album, 'Di Cosa si Nasce', uscito a primavera del 2017, non apporta geniali riforme al genere ma è coniato con ispirazione e gusto da un musicista italiano che conosce molto bene i territori musicali che vuole esplorare e con cui vuole confrontarsi, ottenendo sempre ottimi risultati sonori. Una sorta di buia colonna sonora per una passeggiata in una città abbandonata. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Dio)))Drone, Toten Schwan Rec., Taxi Driver Rec., Vollmer Industries, DreaminGorilla, Screamore, È un brutto posto dove vivere, Brigante Rec., Edison Box - 2017)
Voto: 75

https://diodrone.bandcamp.com/album/di-cosa-si-nasce

giovedì 31 agosto 2017

Macabra Moka - Tubo Catodico

#PER CHI AMA: Rock/Hardcore/Stoner
La Macabra Moka è una band di Cuneo nata nel 2010 che, dopo aver esordito con il primo full length 'Ammazzacaffè' nel 2014, lo scorso marzo ha pubblicato 'Tubo Catodico' tramite la sempre attiva cordata composta da DreaminGorilla Records / VOLLMER - Industries / Dischi Bervisti e tanti altri. Abbiamo ricevuto la versione per gli addetti ai lavori, quindi possiamo apprezzare solo la copertina che tramite un collage in stile fumetto, rappresenta il peggio della tv italiana (Zanicchi, Magalli, etc.) in versione horror, riallacciandosi quindi al titolo del cd. Il quartetto formato da batteria-basso-chitarra-voce suona un energico mix fatto di rock, hardcore e stoner cantato rigorosamente in italiano, a voler confermare che non ci devono essere barriere di alcun tipo tra la band e l'ascoltatore. "Radio fa" è la prima traccia contraddistinta da riff potenti come le parole che vengono sputate ed urlate nel ritornello carico di disagio e sofferenza, il tutto raccontato tramite la metafora delle trasmissioni radio. Subito si scorge la rabbia giovanile dei primi Ministri e Teatro degli Orrori che in tre minuti spaccati viene raccontata nella versione macabra del nostro gruppo. In "Tormentone d'Estate" i riff sono più alla QOTSA, un'ottima simbiosi strumentale che incalza e colpisce duro, il tutto alleggerito dal ritornello scanzonato che ci sbatte in faccia lo squallore della nostra vita mondana, fatta di apericena e selfie. Poi, riuscire a infilare Federica Panicucci nel testo non è proprio cosa da tutti. Si passa a "LeAquile del Metallo Morto", dove la sezione ritmica martella in modo ossessivo e le chitarre ci regalano suoni corposi che trasudano rock alla vecchia maniera, con tanto di assolo delirante a chiudere con annessa accelerazione finale. Tutta l'attitudine hardcore si concentra in "Ok, il Prezzo è Giusto" che ha l'effetto di un cric preso in pieno muso tanto, parole che tagliano quanto i riff suonati a velocità folle. Se i Bachi da Pietra hanno sfruttato l'entomologia per raccontare meglio la nostra società, la Macabra Moka l'ha fatto sfruttando la televisione italiana, portando il cinismo e l'autocritica a livelli paradossali. Un album coinvolgente, schietto come non ascoltavo da tempo ed oscuro al punto giusto. Da avere assolutamente perché sotto la finta patina di 'Tubo Catodico' si nascondono dei contenuti profondi che nell'ambito musicale ormai pochi hanno il coraggio di decantare. (Michele Montanari)

(DreaminGorilla Records/VOLLMER Industries/Dischi Bervisti/Tanto di Cappello Records/Scatti Vorticosi Records/Brigante Records & Productions - 2017)
Voto: 80

https://lamacabramoka.bandcamp.com/album/tubo-catodico

mercoledì 16 novembre 2016

Demikhov - Experimental Transplantation of Vital Organs

#PER CHI AMA: Noise/Drone/Experimental
Demikhov Vladimir fu un chirurgo russo del '900, pioniere delle trapiantologia, infatti viene ricordato per i suoi innumerevoli esperimenti, tra cui il trapianto della testa di un pastore tedesco morto in un incidente prima di essere sottoposto alla stessa procedura per il cuore. Demikhov è anche il moniker di una band di Desenzano (Brescia), per l'esattezza un trio formato da basso/chitarra/batteria dediti a "musica brutta fatta di fuzz e martello" (come dichiarato dai nostri). Lunga la lista delle label che hanno prodotto/supportato la fatica del terzetto lombardo (le prolifere Dio Drone e Cave Canem D.I.Y. tra gli altri), contenuta in un bel digipak dalla grafica vintage. Il disco contiene otto brani che navigano nelle acque del noise/post hardcore/sludge non cantato, un mix di malessere sia a livello di suoni che di arrangiamenti. L'obiettivo del trio bresciano è di colpire, infastidire e lasciare il segno in questo panorama musicale che offre infiniti prodotti musicali per tutti i gusti. Nonostante il progetto sia strumentale, l'impatto sonoro sconvolge e attira l'ascoltatore negli oscuri meandri della mente, tra pazzia e genialità, dove spesso il confine è talmente sottile che è impossibile discernerlo. "Accumulating Failures Magnifies Your Heads’ Collection" ha un incipit vigoroso con una batteria scalciante e feedback di chitarra che ricordano il format dei Bachi da Pietra, una devastazione totale, che emerge proprio da una scelta oculata in fase di registrazione. Dimenticate quindi le finezze dell'era digitale, e fatevi violentare da quel sound grezzo e cattivo che vi riporterà indietro nel tempo di almeno una decade. Mentre basso e batteria continuano su questa linea pulsante, la chitarra lascia gli accordi e si impegna in riff arpeggiati dal suono etereo e lugubre. L'atmosfera diventa meno opprimente grazie al lungo break centrale al limite del drone, poi il crescendo ci prepara al terrore angosciante che esplode e ci conduce fino alla fine del brano ma con qualche neurone in meno. Quasi nove minuti di terapia a base di elettroshock. "My Mind Master Mystic Mademoiselle" inizia con fievoli rintocchi seguiti da un muro di distorsione in puro stile Sunn O))) che ci fa sprofondare nel grembo della lentezza per buona metà del brano. Ad un certo punto il batterista e il bassista vengono colti da un raptus per cui iniziano a martellare in maniera ossessiva, portandoci alla classica esplosione di noise e perdizione, una sorta di Hate & Merda senza voce. Un buon album questo 'Experimental Transplantation of Vital Organs', fatto di suoni giusti e da un concept ben studiato. La scelta della via strumentale funziona e i Demikhov si aggiungono all'ampio stuolo di band che perseguono il genere. A questo punto vincerà chi riuscirà a reinventarsi, staccandosi dagli schemi con soluzioni diverse, anche non convenzionali. Mi immagino già sperimentazioni con strumenti a fiato, archi, voci femminili, elettronica anni '80, sarà necessario solo trovare il coraggio di provare e non temere di uscire dal coro. (Michele Montanari)

(Dio Drone / Toten Schwan / Vollmer Industries / Brigante Records and Productions / Koe Records / Cave Canem D.I.Y. / I Dischi del Minollo - 2016)
Voto: 75

https://demikhov.bandcamp.com/