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giovedì 21 novembre 2019

Golden Heir Sun - Holy The Abyss

#PER CHI AMA: Ambient/Experimental/Drone, Earth, Popol Vuh, Neurosis
Da piccolo amavo esplorare i boschi nei dintorni di casa mia: in realtà più che di boschi si trattava di strisce di verde risparmiate da campi e cemento, ma per un bambino era come entrare in un altro mondo che la fantasia ingrandiva a dismisura e dove il tempo perdeva significato. Una volta mi resi conto dell’arrivo di un temporale solo quando il cielo sopra le cime degli alberi era ormai diventato del colore del piombo e il vento aveva iniziato a fare scempio di rami e foglie: per qualche minuto rimasi immobile, incantato da quello spettacolo al tempo stesso meraviglioso ed inquietante, come se una presenza invisibile stesse manifestando un brusco cambiamento d’umore.

Oggi di quei boschi rimane ben poco, ma l’ascolto di 'Holy The Abyss', primo disco di Golden Heir Sun, mi riporta alla memoria quelle immagini ed un indefinito bisogno di isolamento e contemplazione. Del resto il nuovo frutto del progetto solista di Matteo Baldi, già protagonista in una delle migliori formazioni post metal in circolazione, i veronesi Wows, si configura proprio come un inno in onore della natura, fonte di vita ma anche in grado di scrollarsi di dosso da un momento all’altro questa fastidiosa infestazione di esseri troppo spesso inconsapevoli del fatto di essere solo l’ennesima specie di passaggio su questo pianeta.

Come il precedente 'The Deepest', 'Holy The Abyss' è costituito da un'unica composizione di ben venti minuti di lunghezza che si snoda tra ampie sezioni dominate da atmosfere sacrali, eterei intrecci di chitarra ed esplosioni di dinamica, il tutto concepito come una sorta di rituale catartico volto a ripristinare l’armonia tra l’essere umano e la sua spiritualità più ancestrale. Non a caso, ad accoglierci troviamo il suono oscillante di una campana tibetana affiancata da un lento e malinconico arpeggio di chitarra, mentre da questo ipnotico tappeto sonoro emergono alcuni accordi più duri che si smorzano all’ingresso della voce di Matteo, quasi assorto in un mantra:



“On my hands, Before the Dawn I kneel, in awe.
On my knees, Before the Sun I kneel, in awe.
On my hands, Before the Clouds, I see, rain down.”

Così come l’universo tende inevitabilmente al caos, alla conclusione della “preghiera” corrisponde l’imporsi della chitarra distorta, lanciata in un furibondo crescendo ove il brano aumenta di intensità, raggiungendo il climax al riprendere del cantato, ormai trasformatosi in uno straziante grido:



“Nature is enough, Nature always wins.”

Improvvisamente l’apocalisse sonora si consuma e si disperde come vento: al suo posto riaffiora il vibrare della campana e alcuni tenui accordi che infondono sia un senso di rinnovata quiete che di precarietà, quasi a voler rappresentare il ciclo perpetuo di ordine e disordine che domina il cosmo, nonché il pericolo sempre in agguato degli istinti distruttivi dell’umanità.

Trasporre in note la propria interiorità, le proprie emozioni e suggestioni rappresenta una vera e propria sfida con se stessi, ma a Matteo (non a caso discepolo di maestri quali Neurosis, Godspeed You! Black Emperor e Tool) piacciono le imprese difficili, tanto da concepire questo lavoro come qualcosa che va oltre l’aspetto meramente musicale e che si fonde con altre forme di espressione, allo scopo di coinvolgere l’ascoltatore in questo viaggio introspettivo: parte integrante dell’opera sono infatti le ammalianti coreografie di Giulia, danzatrice che accompagna le esibizioni di Golden Heir Sun, e gli evocativi visual creati da Elide Blind, due componenti fondamentali del progetto che possiamo apprezzare nel videoclip creato per il brano.

Dunque, quale è il messaggio di 'Holy The Abyss'? Una critica ad una vita quotidiana resa sterile dalla superficialità e dalla dipendenza da troppi beni inutili? Un invito a lasciarci alle spalle tecnologia, consumismo e lavori alienanti? Forse. O forse è solo una riflessione su quanto sia meschina l’esistenza senza una presa di coscienza di quanto ci sia di meraviglioso nell’Universo e su quale sia il nostro reale posto in esso. Non basterà a curare questa società malata, ma forse spingerà me a tornare tra i pochi alberi rimasti della mia infanzia e ad inginocchiarmi sulla terra umida mormorando una preghiera:


“Holy the Abyss, free us all.”


(Karma Conspirancy/Toten Schwan/La Speranza Records - 2019)

sabato 23 dicembre 2017

La Colpa - Mea Maxima Culpa

#PER CHI AMA: Black/Doom/Drone Sperimentale
Tre anni or sono, alcune anime travagliate cercarono rifugio in un angusto e tetro sottoscala per potersi riunire in segreto ed espiare i propri peccati. Gli incontri divennero assidui, a conferma che il processo di penitenza dava i suoi frutti e fu così che La Colpa prese vita. Ogni volta il cerchio si stringeva per una preghiera senza tempo e senza dio, guidata dal desiderio di trascendere il dolore che perseguita l'anima e il debole corpo che la ospita. L'orazione prendeva forma, prima un suono, poi un altro, poche parole che diventavano sempre più potenti fino a strappare il mal di vivere per riversarlo in un otre colmo di terra ("Soil"). In principio era il metallo che batteva come la pioggia su una squallida tettoia, mentre una voce inumana alitava il suo mantra accompagnato da profonde note a scandire il tempo. Esplosione, suoni distorti e graffianti, grevi di dolore che accelerano la loro corsa verso le profondità recondite del freddo terreno che li chiama a se per il lungo riposo. All'improvviso tutto tace, la supplica viene zittita perché l'espiazione non è completa e il rifiuto innesca una furia inaudita che va scemando e si spegne. Poi è la volta della rassegnazione, quella nera dove mille lacrime roteano ad una velocità incalcolabile mentre trafiggono l'inutile gabbia di carne ed ossa del corpo umano. Le cicatrici ("Scars") sono l'unico segno postumo dello scempio perpetrato, mentre il tempo rallenta e lascia spazio a pensieri, incubi ed urla. Meritiamo il nostro nefando destino, intrappolati e senza speranza, perchè siamo morti e null'altro importa. La strada è ancora lunga, ma si intravede la fine, finalmente la morte dell'anima che cancellerà il dolore, dove i muri di suoni si stringono sempre più per soffocare e stritolare. Rimangono solo frammenti ("Fragments") di una risata beffarda che non ci appartiene, riflessa in un falso specchio che preferisco rompere per estirpare ogni singolo dente e non poter ridere. (Michele Montanari)

(Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 75

https://lacolpa666.bandcamp.com/album/mea-maxima-culpa

venerdì 1 dicembre 2017

Vespertina - Glossolalia

#PER CHI AMA: Acoustic Experimental Folk, Chelsea Wolfe
Il mese di maggio, per la religione cristiana, è il mese dedicato alla Madonna. Quando ero ragazzino infatti frequentavo il rosario serale con i miei nonni, ogni sera di maggio. Si teneva la testa bassa e le mani congiunte e si recitavano innumerevoli avemarie, come sfondo campi di vigne ed il pigro tramonto primaverile. Sono proprio questi mesi di maggio della mia infanzia che riaffiorano vedendo Lucrezia decantare salmodie e arpeggiare dolcemente la chitarra sul palco dell’Arci Dallò, un’esperienza che non può essere relegata al solo aspetto musicale. Vespertina è in grado di creare una dimensione alternativa che pare raggiungibile solo attraverso anni di raccoglimento e di ascetismo, in cui la luce si fa da parte cosicché le tenebre possano sfoggiare il loro divino splendore. 'Glossolalia' è il nome del disco, una fusione tra “glosso” (lingua, dal greco) e “litania”, perfettamente calzante visto la similitudine delle tracce a preghiere dimenticate e l’utilizzo non convenzionale dell’italiano che va a quasi a delineare un nuovo idioma. Lucrezia spezza spesso le parole oppure le deforma incastonandole in vocalizzi mistici ed eterei, tanto da lasciare il significato dietro di sé per creare con i soli suoni un ambiente fuori dal tempo e dal pensiero. Il disco è stato preceduto dallo splendido singolo “Nuova York” un’uggiosa ballata che porta con sé un’oscurità ineffabile e delicata, a tratti sembra di sentire Chelsea Wolfe cantare su un brano di John Fahey. La malinconia e l’emozione impregnano il pezzo, tanto da ricordarmi un’alba invernale sulla sterminata campagna in pieno medioevo. Un contadino si appresta ad uscire dalla sua baracca, ancora intorpidito dal freddo, le mani crepate dall’umidità e dal lavoro. Assorto nelle faticose e ripetitive pratiche quotidiane, avanza lentamente tra gli alberi spogli. Lo sguardo però è rivolto alla bianca luce dell’alba che filtra attraverso la nebbia e per un attimo il velo della realtà si apre, la ripetizione si rompe e la maestosità della natura porta ristoro e conforto alle sue stanche membra. Dico di ricordare perché mi pare di aver vissuto in prima persona quello che ho sentito, anche se non può essere vero. In 'Glossolalia' è l’intimità a creare quest'effetto estemporaneo, intimità che è assieme un pregio ed un limite, sarei infatti molto curioso di sentire come le geremiadi di Vespertina possano essere rese attraverso l’utilizzo di altri suoni e di arrangiamenti magari più orchestrali. Ma questa è solo una mia curiosità, i componimenti acustici sono intimi per natura e Lucrezia è in grado di sfruttare questa caratteristica al meglio, come dimostrato nel pezzo di chiusura “Slumber”, che sa di mattina e di nostalgia e che suona come una preghiera pronunciata non per dovere o per fede, ma unicamente per il profondo bisogno dell’anima. Il brano è impreziosito dall’iniziale botta e risposta tra la voce e l’arpeggio di chitarra alla “Wine and Roses” di J. Fahey; una voce a metà tra un lamento ed una supplica poi si fa strada tra gli accordi, come a voler evocare qualcosa che non esiste più, come un fedele che nella sua preghiera dapprima ringrazia ma poi si lascia andare e disperato invoca su di sé la grazia divina. (Matteo Baldi)

(Dischi Bervisti, Dio)))Drone, Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 80

https://diodrone.bandcamp.com/album/glossolalia

mercoledì 1 novembre 2017

Petrolio – Di Cosa si Nasce

#PER CHI AMA: Experimental Ambient/Drone/Electro Noise
Enrico Cerrato è un musicista navigato che ha solcato i mari istrionici del metal (con gli Infection Code), del jazz/noise/punk (con i Moksa), dell'industrial (con i Gabbiainferno) e qui, nel suo progetto solista, si mette a servizio dell'elettronica per confrontarsi con la drone music più gelida e l'industrial più oltranzista, fatto di rumore sospeso, macchine robotiche e ritmiche glaciali, monotone e minimali. L'umore è nero come il nome con cui si fa conoscere e le composizioni sono agghiaccianti, cariche di solitudine, con una forma di shoegaze ipnotico e lacerato, dissonante e distorto, ottimo per descrivere il vuoto interiore. Suoni ve ne sono, sparsi qua e là, accordi decadenti e feedback condividono lo stesso piano di ricerca di confine col noise, scariche di batteria sintetica vengono tolte al mondo dell'elettronica per giocare con il metal o almeno con un'attitudine percepita dall'oltretomba, come se i Godflesh usassero i synth al posto delle chitarre. Un corpo estraneo da assimilare lentamente che penetra nelle nostre orecchie per far riflettere, per fare male, con quel suo rumore ammaliante, sottoscritto dai guru Dio)))Drone, Taxi Driver Records, Vollmer Industries, Toten Schwan Records, È Un Brutto Posto Dove Vivere, Dreamingorilla, Screamore e Brigante Records. L' album ha tutte le carte in regola per piacere agli estimatori dei vari generi ambient, industrial e drone estremo e sperimentale. Questo primo album, 'Di Cosa si Nasce', uscito a primavera del 2017, non apporta geniali riforme al genere ma è coniato con ispirazione e gusto da un musicista italiano che conosce molto bene i territori musicali che vuole esplorare e con cui vuole confrontarsi, ottenendo sempre ottimi risultati sonori. Una sorta di buia colonna sonora per una passeggiata in una città abbandonata. Da ascoltare. (Bob Stoner)

(Dio)))Drone, Toten Schwan Rec., Taxi Driver Rec., Vollmer Industries, DreaminGorilla, Screamore, È un brutto posto dove vivere, Brigante Rec., Edison Box - 2017)
Voto: 75

https://diodrone.bandcamp.com/album/di-cosa-si-nasce

mercoledì 16 novembre 2016

Demikhov - Experimental Transplantation of Vital Organs

#PER CHI AMA: Noise/Drone/Experimental
Demikhov Vladimir fu un chirurgo russo del '900, pioniere delle trapiantologia, infatti viene ricordato per i suoi innumerevoli esperimenti, tra cui il trapianto della testa di un pastore tedesco morto in un incidente prima di essere sottoposto alla stessa procedura per il cuore. Demikhov è anche il moniker di una band di Desenzano (Brescia), per l'esattezza un trio formato da basso/chitarra/batteria dediti a "musica brutta fatta di fuzz e martello" (come dichiarato dai nostri). Lunga la lista delle label che hanno prodotto/supportato la fatica del terzetto lombardo (le prolifere Dio Drone e Cave Canem D.I.Y. tra gli altri), contenuta in un bel digipak dalla grafica vintage. Il disco contiene otto brani che navigano nelle acque del noise/post hardcore/sludge non cantato, un mix di malessere sia a livello di suoni che di arrangiamenti. L'obiettivo del trio bresciano è di colpire, infastidire e lasciare il segno in questo panorama musicale che offre infiniti prodotti musicali per tutti i gusti. Nonostante il progetto sia strumentale, l'impatto sonoro sconvolge e attira l'ascoltatore negli oscuri meandri della mente, tra pazzia e genialità, dove spesso il confine è talmente sottile che è impossibile discernerlo. "Accumulating Failures Magnifies Your Heads’ Collection" ha un incipit vigoroso con una batteria scalciante e feedback di chitarra che ricordano il format dei Bachi da Pietra, una devastazione totale, che emerge proprio da una scelta oculata in fase di registrazione. Dimenticate quindi le finezze dell'era digitale, e fatevi violentare da quel sound grezzo e cattivo che vi riporterà indietro nel tempo di almeno una decade. Mentre basso e batteria continuano su questa linea pulsante, la chitarra lascia gli accordi e si impegna in riff arpeggiati dal suono etereo e lugubre. L'atmosfera diventa meno opprimente grazie al lungo break centrale al limite del drone, poi il crescendo ci prepara al terrore angosciante che esplode e ci conduce fino alla fine del brano ma con qualche neurone in meno. Quasi nove minuti di terapia a base di elettroshock. "My Mind Master Mystic Mademoiselle" inizia con fievoli rintocchi seguiti da un muro di distorsione in puro stile Sunn O))) che ci fa sprofondare nel grembo della lentezza per buona metà del brano. Ad un certo punto il batterista e il bassista vengono colti da un raptus per cui iniziano a martellare in maniera ossessiva, portandoci alla classica esplosione di noise e perdizione, una sorta di Hate & Merda senza voce. Un buon album questo 'Experimental Transplantation of Vital Organs', fatto di suoni giusti e da un concept ben studiato. La scelta della via strumentale funziona e i Demikhov si aggiungono all'ampio stuolo di band che perseguono il genere. A questo punto vincerà chi riuscirà a reinventarsi, staccandosi dagli schemi con soluzioni diverse, anche non convenzionali. Mi immagino già sperimentazioni con strumenti a fiato, archi, voci femminili, elettronica anni '80, sarà necessario solo trovare il coraggio di provare e non temere di uscire dal coro. (Michele Montanari)

(Dio Drone / Toten Schwan / Vollmer Industries / Brigante Records and Productions / Koe Records / Cave Canem D.I.Y. / I Dischi del Minollo - 2016)
Voto: 75

https://demikhov.bandcamp.com/