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lunedì 29 ottobre 2012

Forgotten Silence - La Grande Bouffe

#PER CHI AMA: Black, Death, Avantgarde, Jazz
Vi ricordate il film “La Grande Abbuffata”, dove quattro individui, stanchi della vita noiosa e inappagante che conducono, decidono di suicidarsi, chiudendosi in una casa nei dintorni di Parigi, mangiando fino alla morte? Beh il cult movie, che partecipò anche al festival di Cannes, è il tema conduttore del nuovo lavoro dei cechi Forgotten Silence, che oramai avevo dato per dispersi. Era infatti dal 2006 che non uscivano con un full lenght ed ora eccoli alle prese con “La Grande Bouffe”. Il cd si apre con l’invito a tavola per l’inizio della cena, estrapolato proprio dal film, che in alcune parti del disco ripropone altre parti di dialoghi. Mi pare infatti di sentire la voce del nostro Ugo Tognazzi in “Translucide (Brighton II.)”. La musica dei Forgotten Silence invece riprende, come era lecito aspettarsi, la sua delirante follia, con un sound all’insegna dell’avantgarde, e con le consuete scorribande in territori elettronici, death, jazz e ambient. Da quasi vent’anni, la band ceca è sinonimo di suoni innovativi, il cui avvicinamento è consentito solo a chi è dotato di grande flessibilità mentale. Io lo sono e mi lascio pertanto trasportare dall’estro improbabile di questi sei incredibili musicisti, che con somma intelligenza, questa volta arrivano a citare appunto, l’opera di Marco Ferreri. Inappuntabili. Cosi come i nostri lo sono in ambito tecnico-compositivo. Poche sono le band infatti, in grado di permettersi di proporre un simile sound, ma i Forgotten Silence possono questo ed altro. “Aalborg” è una song dai ritmi vertiginosi, quasi electro grind, che mostra un break centrale che incanta per la capacità del combo di rallentare i tempi. Intermezzi di dialoghi del film italo-francese, infarciscono il disco, tra un brano e l’altro. “Les Collines De Senyaan Pt.III” è tribale, psicotica e psichedelica, inutile tuttavia cercare di appioppare delle etichette, rischierei comunque di dire una mezza verità. Difficile descriverne il sound che di metal in questa traccia ha ben poco. L’imprevedibilità fa parte del DNA del folle sestetto e “Fermeture De La Bouche” ne è l’ennesima testimonianza: rock, techno-cyber death, folk, black, si fondono in un unisono delirante musicale che avrà un effetti disturbanti per il cervello di chiunque persona normale provi ad ascoltarlo. Le vocals, seguendo il flusso psicotico dell’album, si alternano tra screaming malvagi, possenti growl, effetti elettronici e clean vocals. Con l’effetto simile a quello che si ha dopo aver bevuto tutto di un fiato una bottiglia di vodka, mi appresto ad ascoltare le ultime due tracce, ma come potete intuire, ormai non mi reggo più in piedi, la vista è sfocata e l’equilibrio è carente. I Forgotten Silence mi hanno ubriacato e saturato i sensi un’altra volta con il loro sound unico e divertente, ma decisamente non sempre cosi semplice da digerire. Quindi, fate attenzione anche voi a non abusarne, non vorrei correste il rischio di fare la fine dei quattro protagonisti de “La Grande Abbuffata”… Morire! Semplicemente mostruosi. (Francesco Scarci)

(Shindy Productions) 
Voto: 85

sabato 2 ottobre 2010

Mindwork - Into the Swirl


Cosa odono le mie orecchie, sogno o son desto, eh si perché quello che fuoriesce dalle casse del mio stereo sembrano suoni senza tempo che ebbero il loro inizio nei primi anni ’90 con le massime espressioni in “Focus” dei Cynic, “Testimony of the Ancients” dei Pestilence e “Individual Thought Patterns” dei Death. I cechi Mindwork debuttano sulla lunga distanza con un cd da urlo, “Into the Swirl”, lavoro che appunto, riprendendo i sacri dettami della scuola techno death di primi anni ’90, senza stravolgere alcunché, ripercorre esattamente le orme pionieristiche di quelle grandi band e soprattutto, lo riesce a fare con una classe disarmante. Ragazzi, carta e penna per favore, segnatevi questo nome, perché siamo di fronte ad una delle realtà più promettenti del panorama techno death mondiale. Partendo da una tecnica sopraffina, costellata da una grande dose di gusto per semplici ma allo stesso tempo complesse trame chitarristiche e piacevoli melodie, il quartetto mitteleuropeo riesce a sfornare qualcosa che si pensava irraggiungibile dopo la fine dei Death, o l’opaco ritorno di Cynic o Pestilence. I nostri, ripartendo dai suoni di “Focus” (non ahimè cosi bombastici però) rilasciano questo nove tracce, dove non si può non evidenziare la mostruosa tecnica dei singoli, le acrobatiche divagazioni jazz di “Essence of Existence” e “Freedom of Mentality” e i caratteristici ingredienti di questo complicatissimo genere. Cambi di tempo da panico, stacchetti atmosferici, inframmezzi acustici, ripartenze affilate come rasoi, tecnicissimi solos e riffs che pensavo le mie orecchie non avrebbero mai più potuto udire dopo la morte di Chuck Schuldiner. Grandissima band, che pur non inventando nulla di nuovo, ha nelle proprie corde la possibilità di diventare l’unica vera erede dei Death. Da seguire, da molto, molto vicino… (Francesco Scarci) 

(Shindy Productions)
voto: 80