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Visualizzazione post con etichetta Scarlet Records. Mostra tutti i post
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venerdì 9 luglio 2021

Lords of Decadence - Cognitive Note of Discord

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Death, Children of Bodom, Soilwork
Quando ascoltai la prima volta questo disco pensai ad un side project (identico all'originale) dei Children of Bodom o forse dei Kalmah. No, nessuno dei due, allora forse i Norther? Errato anche questa volta. 'Cognitive Note of Discord' fu infatti il debut album degli austriaci (e non finlandesi!) Lords of Decadence, descritti come un’incredibile band che aveva ottenuto sin qui ottimi riscontri in tutta Europa e che già vantava un’esperienza live al fianco di grossi nomi (Green Carnation, The Forsaken, Suidakra, Mork Gryning, Disbelief). Era l'agosto 2004 quando usciva il disco di questi quattro ragazzi viennesi e il sound proposto si configurava come un perfetto mix tra le band finlandesi succitate, Soilwork (sicuramente udibile nei coretti e nel doppio uso delle vocals) e In Flames (il lavoro delle chitarre è talvolta simile a quello di Anders Fridén e soci di quegli anni). Dopo queste premesse, avrei potuto chiudere la mia recensione e andarmi ad ascoltare qualcosa di ben più originale; la raccomandazione allora è di non fermarsi alle apparenze. Dopo ripetuti ascolti infatti, queste 10 songs, dotate di un incredibile impatto melodico (sicuramente si imprimerà nei vostri cervelli cosi come è successo a me, che fischiettavo i motivetti sotto la doccia), mostrano addirittura un pizzico di personalità, riuscendo alla fine ad essere meno noiose dei ben più blasonati colleghi Children of Bodom. Un massiccio uso delle tastiere a scandire le ritmiche, sorrette dal pregevole lavoro delle chitarre e la perfetta combinazione della doppia voce, rappresentano i punti di forza di questo lavoro. La Scarlet Records ci azzeccò anche quella volta, andando a scovare nella vicina Austria questa giovane band, poi persasi per strada dopo il secondo lavoro 'Bound to Fall'. Combinando il meglio del death e del thrash europeo dell'epoca, mantenendo una fortissima componente melodica, i Lords of Decadence si proposero come una delle stelle nascenti dell’underground austriaco. Peccato che le promesse non furono mantenute. (Francesco Scarci)

giovedì 29 aprile 2021

Allhelluja - Inferno Museum

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death'n'Roll
Gli Allhelluja rappresentano l’imprevedibile collaborazione tra Jacob Bredahl (vocals dei danesi Hatesphere) e il batterista Stefano Longhi proprietario della Scarlet Records. Premesso che questo 'Inferno Museum' non ha nulla a che fare con il death/thrash proposto dalla band del cantante scandinavo, vi dico subito che è stato registrato ai GB Studios di Milano e masterizzato presso gli illustri Cutting Room Studios di Stoccolma (Rammstein, In Flames). L’album è liricamente ispirato al libro di Derek Reymond “Dead Man Upright/Il Museo dell’Inferno” (un masterpiece su uno “psycho-sex” serial killer). Le dieci tracce possono essere accostabili ad un perfetto mix tra i lavori degli Entombed più death’n roll oriented, con il feeling sporco dei Motorhead, il tutto coniugato al groove dei finlandesi Mind Riot (autori dell’ottimo 'Peak'), e miscelato col flavour stoner tipico degli statunitensi Kyuss. Un ascolto più approfondito del disco aggiunge poi altre influenze alle suddette: “Miss M” e "Inferno Museum" mi hanno richiamato alla mente un certo feeling alla The Doors per il suo incedere ipnotico a tratti psichedelico. Qua e là sono udibili passaggi accostabili agli Stone Temple Pilots, ma tante altre contaminazioni sono presenti in questo piacevole lavoro, che rappresenta forse, una sorta di omaggio ai mai dimenticati anni settanta. La voce di Jacob è sicuramente più godibile quando assume toni rockeggianti piuttosto che la tipica timbrica death metal. Mi è sembrato addirittura di sentir cantare il frontman degli australiani Jet (quelli di “Are You Gonna be my Girl”, per intenderci). Gli episodi migliori del disco sono le due tracce in apertura “A Perfect Man” e “Your Saviour is Here” oltre alla già menzionata title track che sanciscono definitivamente quanto questo disco sia puro rock’n’roll. (Francesco Scarci)

domenica 5 aprile 2020

Allhelluja - Pain is the Game

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death’n’Roll, Xysma, Spiritual Beggars
Avevo particolarmente amato 'Inferno Museum', full length di debutto datato 2004 della super band italica Allhelluja. Dopo 15 mesi, i nostri tornano in pista di nuovo pronti a sconquassare il mondo con quell’incredibile mix di suoni seventies, stoner e death’n roll. Dopo gli ottimi responsi ricevuti e le gig di supporto a nomi del calibro di Down, Raging Speedhorn, Gluecifer e Black Sabbath, la band rilascia il secondo 'Pain is the Game'. Undici brani per 39 minuti di musica sono sufficienti a spazzar via ogni dubbio che l’eccellente qualità dell’album di debutto non è stato, dopo tutto, un caso. La band di Stefano Longhi, sempre coadiuvata alla voce dal vocalist degli Hatesphere, Jacob Bredahl (sempre meno in versione growl, molto più rock’n’roll), è più incazzata che mai: la prova che sfoderano i nostri è quanto mai di classe, grazie anche al supporto di Tue Madsen (The Haunted, Sick of it All) alla consolle. Il sound di questo lavoro del combo italo-danese, in linea di massima non si discosta più di tanto dai suoni grezzi e ruvidi del debut cd: le ritmiche sono più rabbiose e sostenute, il che è forse andato a scapito di quelle influenze più ipnotiche e psichedeliche che contraddistinsero l’esordio dei nostri. Tecnicamente la band si discute, così come il gusto per la melodia; ottima dicevo la produzione, sempre attenta a porre in risalto il basso, vero protagonista di questo 'Pain is the Game'. Se avete amano il debut della band, non potrete fare a meno neppure di questo secondo gioiellino e della miscela esplosiva d’insano rock’n’roll; se non li conoscete e amate questo genere di musica, acquistatelo a scatola chiusa, tranquilli garantisco io per loro. (Francesco Scarci)

lunedì 19 agosto 2019

Bokor - Anomia 1

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative, Opeth, Tool, Cult of Luna
Era il 2007 quando venni sopraffatto da questa entusiasmante creatura proveniente dalla Svezia. Si trattava dei Bokor, nome non certo brillantissimo (nelle pratiche voodoo è il sacerdote che pratica magia malvagia, per scopi personali), però la musica, wow. Cinque musicisti dai più disparati background musicali che si sono incontrati e hanno deciso di fondere le loro influenze in questa band. E la Scarlet Records ci vide lontano mettendo sotto contratto questo nuovo act scandinavo. La musica? Una miscela di un po’ di tutto: avete presente la vena goliardica dei System of a Down? Bene, unitela al sound oscuro dei Tool, con un pizzico di sludge alla Cult of Luna, inserito in un contesto progressive alla Opeth, con riferimenti agli Anathema e ai Porcupine Tree e al death rock dei Mastodon. Tutto chiaro no? 'Anomia 1' colpisce chiunque per la freschezza della sua proposta ancora oggi nonostante gli oltre dieci anni d'eta, soprattutto per la tonnellata di riferimenti che vi si possono ritrovare: la musica progressive si fonde ad elementi sinfonici e ad un certo hard rock anni '70, amalgamandosi magistralmente con il death, il black, il thrash, la psichedelia, con suoni industriali, con il blues, e ancora con il gore, il punk e qualsiasi altra cosa vi venga in mente, perchè qui c’è davvero di tutto. I musicisti mostrano un talento sconfinato in grado di ipnotizzarci con la loro carica emozionale ed interpretativa. Sei brani, per un totale di 44 minuti (splendidi i 14 minuti di “Migrating”, vera summa di questo piccolo gioiello), in cui i nostri ci prendono per mano e ci accompagnano nel loro mondo, tramortendoci con il loro sound imprevedibile, estremamente creativo e sempre in bilico tra il reale e il surreale. Esaltante la prova dell’istrionico vocals, tale Lars Carlberg, capace di spaziare da vocalizzi alla Tool o alla System of a Down (ascoltate i primi due brani per credere), passando attraverso screaming e growling vocals. Testi profondi ed ispirati completano un album da avere assolutamente, anche se datato. (Francesco Scarci)

(Scarlet Records - 2007)
Voto: 86

https://myspace.com/bokorband

lunedì 13 agosto 2018

Kayser - Kaiserhof

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Doom, Slayer, Black Sabbath
Kayser non si riferisce al prefisso di una nota squadra di calcio tedesca, nemmeno il nome di una marca di acque minerali, bensì trattasi della creatura formata da Spice (ex-Spiritual Beggars), Mattias Svensson (The Defaced), Bob Ruben (ex-The Mushroom River Band) e Fredrik Finnander (ex-Aeon), una super band che fu scovata a suo tempo dall'attenta Scarlet Records. Questo super gruppo, traendo spunto dalle formazioni di origine, e da altre influenze che si rendono palesi fin dai primi dieci secondi del disco, rappresenta l’anello di congiunzione che mancava, tra Slayer e Spiritual Beggars. Il risultato, devo ammettere, è molto affascinante, perchè rievoca nella mente, echi ormai lontani, di 'Season in the Abyss' degli stessi Slayer, abilmente miscelati alle melodie seventies di 'Ad Astra' degli Spiritual Beggars, con richiami più o meno forti a Black Sabbath e Megadeth, abilmente reinterpretati con il sound moderno e le tecnologie oggi disponibili. 'Kaiserhof' sfoggia un’ottima produzione, affidata ai Caesar Studios (che hanno ospitato anche Soilwork e The Defaced), presenta un ottimo songwriting e buone vocals che si rifanno palesemente agli Spiritual Beggars, band nella quale Christian "Spice" Sjöstrand ha offerto i propri servigi per anni. La band svedese mostra poi tutta la sua grandissima classe attraverso le prestazioni dei singoli: alla buona prova del cantante si aggiunge l’ottima performance dei due axeman, bravi e già affiatati sia in fase ritmica che in quella solistica (da delirio gli assoli in “Like a Drunk Christ” e “Cemented Lies”); preparato come sempre Bob Ruben alla batteria, con il suo stile molto vicino al fenomenale Dave Lombardo. Insomma, se apprezzate le band sopra citate, non dovreste farvi mancare neppure il debutto 'Kaiserhof'; se poi non siete amanti dell’attitudine “hard seventies” degli Spiritual Beggars, non vi preoccupate, perchè qui troverete di che divertirvi anche con quella cattiveria tipica degli Slayer. (Francesco Scarci)

(Scarlet Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Kaysertheband

domenica 27 settembre 2015

Hollow Haze - Countdown to Revenge

#PER CHI AMA: Power Sinfonico
I vicentini Hollow Haze, capitanati dal chitarrista fondatore Nick Savio fin dal 2003, hanno da poco pubblicato il loro sesto album in studio, ‘Memories of an Ancient Time’, il quale sta riscuotendo un discreto successo. Tuttavia, quello di cui andiamo a parlare oggi è il precedente full-length della band, quel ‘Countdown to Revenge’, pubblicato nel 2013, che forse rappresenta il loro lavoro migliore. La formazione degli Hollow Haze del 2013 vede dietro al microfono il signor Fabio Lione, veterano della scena power italiana (Rhapsody of Fire, Vision Divine, Labyrinth), che sicuramente rappresenta una spinta in più per il gruppo veneto. Punto di forza di ‘Countdown To Revenge’ è la collaborazione anche con la Wintermoon Orchestra di Simone Giorgini, che apporta una interessante innovazione nel sound della band, amalgamando la potenza delle composizioni di Nick Savio ad azzeccate orchestrazioni sinfoniche, le quali fortunatamente non rubano mai la scena, ma vanno ad inserirsi nel sound dei nostri senza appesantirlo troppo. Lo si può percepire già dalla cavalcata iniziale “Watching in Silence”, che si presenta con un pomposo intro orchestrale fino all'ingresso della band che ci travolge con la sua accelerata, a cui partecipa anche l'orchestra che sembra non mollare mai la presa, andando a creare uno dei passaggi più belli del disco. Le atmosfere sinfoniche ci accompagnano fino alla fine del brano (e anche per tutto l'album), in cui possiamo apprezzare anche un ottimo assolo di chitarra, che mette in luce le doti tecniche di Savio. Il disco prosegue con il tipico sound power-moderno dell’ensemble veneto, sempre accompagnato dalla Wintermoon Orchestra e arricchito dalla voce del grande Fabio (che qui si è occupato anche della stesura dei testi) che ci accompagna fino all'interessante suite che dà il nome all’album, per poi concludere con la strumentale “The Gate To Nowhere” che ci riporta alla dimensione iniziale. Un altro ottimo passaggio a favore per la formazione vicentina, che con quest'album mette a segno l’ennesimo colpo per farsi largo nella scena, valorizzati peraltro dal sempre ottimo lavoro di produzione da parte di Sascha Paeth, sicuramente uno dei produttori in circolazione più in gamba in assoluto che rende questo disco uno spettacolo di suoni. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Scarlet Records - 2013)
Voto: 80

http://www.hollowhaze.com/

domenica 11 marzo 2012

Smaxone - Regression

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali, Faith No More, Devin Townsend
Ecco un disco fresco che sconvolse la mia estate del 2005... Fu un bel colpo in casa Scarlet, l’aver messo sotto contratto questa band, side project di Michael Bøgballe (vocals) e Brian "Brylle" Rasmussen (batteria) dei Mnemic e Casper Skafte (chitarra) e Claus Lillelund (vocals) degli Elopa. Gli Smaxone si sono formati sul finire del 2003, grazie agli artisti sopraccitati, anche se tutte le tracks sono state scritte e arrangiate da Skafte, mentre gli altri musicisti si sono avvicinati alla musica degli Smaxone a livelli successivi. Beh, immagino che sarete curiosi, del perchè la proposta del combo danese mi fece tanto scalpitare? Allora fate una cosa, chiudetevi nella vostra stanza, spegnete le luci e ascoltate assolutamente il disco nelle cuffie per poter meglio apprezzare i minimi particolari di “Regression”. Questo è un album capace di miscelare la genialità dei Faith No More, con la follia di Devin Townsend e la rabbia cibernetica dei Fear Factory. Oltre ad avere una produzione esagerata ad incrementare l’impatto sonoro, quest’album ci mostra le doti eccezionali come clean vocalist di Claus, abile ad amalgamarsi con il cantato più ruvido di Michael, il tutto contribuisce a creare un’estrema varietà nel sound della band. Ma poi è la musica dei nostri a regalarci momenti emozionanti; non posso citarvi un brano in particolare perchè in complesso l’intero lavoro mi ha esaltato per la freschezza di idee apportate e per l’estrema semplicità con la quale riesce ad incollare l’ascoltatore alla poltrona. Rispetto ai gruppi visti sopra, gli Smaxone hanno sicuramente un approccio più soft-commerciale, ma per una volta lasciamo stare queste piccolezze perchè, quando un album vi garantisco che è valido lo è anche se a cantare ci fosse Ricky Martin (ok, ora ho un po’ esagerato). Quello che voglio dire è che se amate Devin Townsend, i Fear Factory, i FNM o il metal in generale in tutte le sue sfaccettature, dovete andare a pescare questo gioiello: riff metal, strabilianti atmosfere, samples elettronici, bellissime vocals rendono “Regression” uno dei lavori più interessanti degli ultimi anni!! (Francesco Scarci)

(Scarlet Records)
Voto: 90
 

lunedì 9 gennaio 2012

Ecnephias - Inferno

#PER CHI AMA: Black Dark Gothic, Rotting Christ, primi Death SS
Non poteva mancare sulle pagine del Pozzo, il come back discografico degli Ecnephias, band lucana che seguo sin dal loro primo cd, che con questa nuova release, li vede tra l’altro, al loro esordio su Scarlet Records, brava nel sottrarli alla Code 666. Il digipack si presenta inquietante fin dalla lugubre copertina, dove una Madonna (deduco) lacrimante sangue giace su un letto, con in braccio un bimbo (Gesù Cristo?). Poche note di pianoforte introducono “Naasseni” e poi ecco esplodere l’urlo di “A Satana”, dove a colpirmi immediatamente, è la forte connessione musicale con gli ultimi Paradise Lost, con un bel riff di base avvolto da orientaleggianti melodie create dalle tastiere di Sicarius e con il buon Mancan ad alternare il suo growling ad una voce non del tutto pulita, passando tra l’altro con estrema disinvoltura dall’inglese all’italiano (da sottolineare che il ritornello peschi dall’”Inno a Satana” di Giosuè Carducci). La parte finale è poi da stropicciarsi gli occhi, cosi come la successiva “A Stealthy Hand of an Occult Ghost”, dove i nostri riprendono il loro vecchio amore per i Rotting Christ, contaminato però da una verve cibernetica tipica dei The Kovenant, per abbandonarsi ancora una volta ad una chiusura da brividi, affidato ad un basso slappato e a delle fantastiche melodie. Sono entusiasta nel sentire che la band non si sia persa per strada, nonostante i molteplici cambi di line-up, ma abbia anzi continuato la propria evoluzione sonora, sfoderando un’altra prova degna di nota, che spero non lascerete passare inosservata. “Buried in the Dark Abyss” apre con un’altra strofa in italiano (sinceramente, le parti che adoro e che conferiscono quel quid in più alla proposta dei nostri) e poi grandi come sempre a creare atmosfere orrorifiche in stile primi Death SS, grazie a fantastiche keys, intelligenti chitarre, brillanti cavalcate gravide di malinconiche melodie e grazie soprattutto alla voce di Mancan, sempre carica di teatralità, che lo elevano a mio avviso, tra i migliori cantanti in circolazione oggi, grazie al suo spiccato eclettismo. Il disco procede con un altro pezzo interessante, “Fiercer than any Fear”, che dimostra nuovamente quanto i refrain in italiano siano più facili da essere memorizzati e cosi eccomi cantare “Oh Dio del Male della Sorte”. La malinconica “Voices of Dead Souls” (una sorta di semiballad, una bestemmia lo so, perdonatemi ragazzi), rappresenta un altro esempio di quanto i nostri abbiamo enfatizzato maggiormente l’utilizzo della nostra madre lingua a livello di liriche, emerga una spiccata ecletticità nei brani, sempre estremamente vari; ciò che mi esalta rispetto ai passati lavori è, a parte una eccellente cura negli arrangiamenti, anche la componente tecnica del quartetto, talvolta straripante e che esula completamente dal contesto estremo. La fiamma nera brucia ancora nei solchi di questo “Inferno” e non solo per ciò che concerne il titolo: l’anima black continua a permeare di una cupa atmosfera questo magnifico lavoro, che sicuramente ha il pregio di aprire la musica dei nostri a frange decisamente meno estreme del black ma che allo stesso tempo, corre forse il rischio di perdere gli amanti di sonorità più old school. Tuttavia chi segue la band sin dagli esordi, è abituato alle sonorità accattivanti dell’ensemble italico (splendida a tal proposito la sezione ritmica di “In my Black Church” con un profondo basso, quei delicati tocchi di pianoforte, e un sound grondante un groove pazzesco) o alle trovate geniali di Mancan e soci. “Lamia” chiude infine il cd e ancora una volta rimango stupefatto dalla epicità di un brano che starebbe bene nel “Notre Dame de Paris” di Cocciante (va bene, ora ho forse esagerato, ma non vogliatemi male ragazzi, non vuole essere un insulto, ma anzi vorrebbe esaltare il lavoro egregio svolto, che si completa con una bombastica produzione). A chiudere la versione digi ci pensa la bonus track “Chiesa Nera”, che non è altro che la versione in italiano di “In my Black Church”. Che dire ancora? Lasciarsi scappare questo lavoro, sarebbe una delirante follia. Da avere ad ogni costo! (Francesco Scarci)

(Scarlet Records)
Voto: 85