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giovedì 23 aprile 2020

Ecnephias - Seven - The Pact Of Debauchery

#PER CHI AMA: Gothic/Dark, Moonspell, Burning Gates
E dopo dodici anni, eccomi a recensire il sesto lavoro della band potentina; mi mancano i primi due dischi, compensati però da un EP, 'Haereticus' nel 2008, e poi mi potrei tranquillamente considerare un fedele devoto alla causa Ecnephias. A parte gli scherzi, non posso negare la mia stima nei confronti dell'italica creatura, capace nel corso della propria carriera di mutare pelle, adattarsi a situazioni complicate, lottare caparbiamente contro tutto e tutti (mulini a vento compresi) e arrivare oggi a rilasciare questo settimo sigillo, intitolato 'Seven - The Pact Of Debauchery'. Nove nuovi brani per saggiare lo stato di forma di Mancan e soci, cercando di capire come il sound dei nostri sia evoluto dopo le dipartite di Sicarius Inferni e Khorne, presenti nel precedente 'The Sad Wonder of the Sun'. Ebbene, quella trasmutazione verso il gothic rock che citavo come completata nella vecchia release, qui è ormai assodata e la band non fa altro che esplorare ed ampliare il proprio raggio d'azione. Se l'inizio di "Without Lies" chiama ancora in causa i vecchi Moonspell, con la voce del buon Mancan a rappresentare il marchio di fabbrica per il nerboruto trio, quello che mi convince davvero in questa song è la componente solistica forte dell'ottimo lavoro del bravo Nikko, con le chitarre qui dotate di un eccellente taglio classicheggiante, peccato solo per la loro esigua durata. I temi legati alla magia, al paganesimo e all'occultismo non mancano nemmeno in questo cd e "The Night of the Witch" lo conferma a chiare lettere a livello lirico, laddove a livello musicale invece, sono le ormai consuete atmosfere sinistre venate di una discreta aura malinconica a farla da padrona. Il riffing è pacato, le keys dipingono paesaggi che mi ricordano da lontano Rapture, Enshine e Slumber, mentre quello che mi esalta sempre un sacco sono decisamente i cori, cosi evocativi, epici e coinvolgenti, tanto da ritrovarmi alla fine del brano con il pugno volto al cielo. Arriviamo anche alla traccia che non necessita di sottotitoli, "Vampiri", con quel suo mood dark new wave che mi evoca una band nostrana, i Burning Gates. Pur trovando che il cantato in italiano caratterizzi maggiormente la proposta del trio lucano, capisco di contro che la possibilità di esportazione del prodotto Ecnephias fuori dai confini nazionali, potrebbe divenire più complicato. Spettacolare intanto l'assolo sciorinato in questo brano dal sempre bravissimo Nikko, in quello che forse alla fine dei conti, risulterà essere anche il mio pezzo preferito. "Tenebra Shirt" è una traccia piuttosto lineare nella sua progressione, non tra le più memorabili inserite nella discografia degli Ecnephias, ma comunque un onesto episodio di fine atmosfera. Molto meglio l'inquietante incedere ritmato di "The Dark", che nel suo break centrale, cerca di coglierci di sorpresa con uno stralunato fuori programma, giusto una manciata di secondi per disorientarci dallo stato di intorpidimento in cui stavamo per cadere, si perchè talvolta la proposta dei nostri sembra un po' depotenziata, insomma col classico freno a mano tirato. L'incipit di "Run" mi ha fatto pensare per una frazione di secondo alle operistiche partiture dei Therion, ma tranquilli nulla di tutto ciò viene poi qui esplorato, anche se Mancan alterna il proprio growling ad un cantato molto pulito, ma niente paura perchè è giunto il momento anche dello spazio etnico grazie all'utilizzo di percussioni che non mi fanno tanto pensare al Mediterraneo, piuttosto al voodoo africano. Un sintetico incipit ci introduce a "The Clown", la traccia sicuramente più ricca di groove e mi verrebbe da dire anche quella più canticchiabile (mi scuserà Mancan) con quel suo coretto "I saw a clown..." che si stampa nella testa; ottima poi la melodia di fondo su cui si staglia l'ascia sempre vigile di Nikko. L'apertura de "Il Divoratore" nasconde nelle sue iniziali percussioni melliflue (eccellente anche Demil dietro alle pelli) un che del misticismo di Twin Peaks, a cui fa seguito l'arpeggio della sei corde qui a braccetto con le tastiere, e il cantato di Mancan qui particolarmente carico di emotività, a rafforzare la mia ipotesi che in italiano la proposta degli Ecnephias renda molto di più. E per chiudere in bellezza, ecco che anche la conclusiva e arrembante "Rosa Mistica" ci concede gli ultimi minuti di punk dark wave cantata in italico lingua, in quella che fondamentalmente è la song più violenta del disco, e che sembra quasi una bonus track a prendere le distanze da tutto quello ascoltato fino ad ora. Per concludere, a parte quella sensazione percepita in un paio di occasioni di un sound talvolta privo di incisività, la settima release degli Ecnephias va assaporata con una certa calma e armonia dello spirito. Detto questo, la mia stima nei confronti della band rimane immutata per carisma, professionalità e una certa ricerca di originalità. Per il resto, è sempre una certezza e un piacere aver a che fare con i nostrani Ecnephias. (Francesco Scarci)

domenica 19 gennaio 2020

En Declin - A Possible Human Drift Scenario

#FOR FANS OF: Dark Rock, Anathema, Klimt 1918
The Italian project En Declin is not a new band being founded in 1996 under the moniker My End. Later on, the project evolved and changed its name to En Declin, releasing two different albums between 2005 and 2009. As it usually happens, the line-up stability was the main problem for these guys to continue improving and evolving its sound, as some members came and left the band during a long period of time. In 2016, the three remaining members, Andrea, Marco and Mauricio decided to continuing as a trio in order to forge a renewed sound and release a new work, which would mark a new beginning for En Declin. The result of this effort is ‘A Possible Human Drift Scenario’.

En Declin’s style on this album is a more sophisticated and mature form of its previous sound. ‘A Possible Human Drift Scenario’ navigates between the realms of dark rock, melancholic pop and some noticeable progressive influences. The band´s music is a vivid soundtrack of a dreamy journey, forged by deep emotions as melancholy or the evocation of a long forgotten past. Musically speaking ‘A Possible Human Drift Scenario’ recalls the softest creations of bands like Katatonia or Anathema. Maurizio’s vocals are delicate yet mournful with a very fragile and beautiful tone; his vocals appear quite in the front of the mix, mainly alone, but also many times doubling them and giving the effect of having several singers singing at the same time, some nice examples would be the excellent ‘Caronte’ or the also fine tune ‘Mr. Lamb’. As mentioned, this is not a particularly heavy album, but a release more focused on being evocating. For this reason, the guitars play an accompanying role of the vocals with tastefully done melodies and chords with a strong prog nature, but being closer to the pop style more than an actual rock band. The guitars compositions like the necessary rhythmic base create structures with a simple, but a interestingly evolving progression in the most inspired compositions. A representative example of this is given by the longest track of the album ‘Das Eismeer’, which is probably the most interesting composition. These highlights improve the overall result because sometimes these kinds of albums tend to be slightly monotonous, as one may find some tracks particularly similar in its structure. Marco, who is the guy behind the drums, tries to enrich the sound of this album adding some atmospheric arrangements, like little electronics effects which serve as a intro for some songs or as a background ambience. I particularly like these adds as they reinforce the evocating nature of this album.

Overall, ‘A Possible Human Drift Scenario’ is a pleasant listen if you like these calm and slightly gloomy albums, where the atmosphere is more important than the strength of the compositions. It will obviously please those who enjoyed the softest side of the aforementioned bands like Katatonia or of particularly emotional projects like Klimt 1918. (Alain González Artola)
 
(My Kingdom Music - 2019)
Score: 70

https://endeclin.bandcamp.com/

mercoledì 5 settembre 2018

Obsolete Theory - Mudness

#PER CHI AMA: Black/Doom, Septic Flesh
Il debut dei milanesi Obsolete Theory ha tutte le carte in regola per essere un album con i controcoglioni: dalla produzione a carico di Øystein G. Brun dei Borknagar all'artwork a cura di Jeff Grimal dei The Great Old Ones, il tutto sotto l'egida della nostra My Kingdom Music. Il risultato? Alquanto ambizioso, oserei dire. 'Mudness' consta di cinque tracce della durata media di 10 minuti che sapranno condurvi nei meandri black doom di questo sestetto milanese devoto a H.P. Lovecraft, e alle reltative atmosfere orrorifiche ed occulte. Il tutto è già certificato dall'opener "Salmodia III", un pezzo ritmato dalla produzione bombastica, dall'aura minacciosa che esplode solo a pochi metri dal traguardo. Prima assistiamo ad una preparazione con atmosfere decadenti in cui si fa notare l'eclettica performance al microfono di Daevil Wolfblood, ma la musica francamente stenta a decollare. Ci riesce fortunatamente la seconda "Six Horses of Death" che irrompe con una bella melodia di fondo e poi di nuovo una ritmica quasi militaresca sulla quale si innescheranno raddoppi vocali, orecchiabili refrain di chitarra che rendono la proposta dei nostri decisamente accessibile, con rallentamenti in stile 'Shades of God' dei Paradise Lost. Death, black e doom s'incontrano nelle linee di chitarra di questa seconda traccia, avvalorando una proposta che sembra carburare sempre con estrema lentezza. Ma il diesel degli Obsolete Theory scalda i motori certamente in "Sirius' Blood", la quarta traccia, dove il flebile suono di un glockenspiel si scontra con un basso pulsante e la marzialità del drumming possente di Sa' Vaanth in una song spettrale, pregna di una certa orchestralità, ma anche di una violenza di fondo che prende il sopravvento attraverso ritmiche tiratissime e una performance vocale spiritata, con gli arrangiamenti in sottofondo che fanno certamente la differenza. Influenzati un po' dai Septic Flesh, irrobustiti da un tocco dei Behemoth e resi drammatici da quel pizzico di My Dying Bride che c'è nelle loro vene e l'affresco partorito dagli Obsolete Theory è delineato. Interessante in ultimo la sezione solistica del brano, ove le linee melodiche si sprecano e la song ne trae sommo giovamento candidandosi a miglior brano del lotto. Se la gioca infatti con "The God With the Crying Mask", brano lento e malefico, forse per la voce del frontman, qui ancor più maligna (e talvolta sussurrata e pulita) che poggia dapprima su un lento rifferama doom che esploderà da li a poco, in un serratissimo riffing black. Tra i brani, non ho ancora citato "Dawn Chant", il terzo episodio del disco che vede i toni compassati sposarsi con le vocals pulite del cantante in una traccia che ancora una volta, vede il brano crescere progressivamente a livello ritmico, imbastendo una notevole veemenza black death nella sua seconda metà. Alla fine 'Mudness' è un sicuramente un buon esordio, con i suoi punti di forza e di debolezza che dovranno essere inevitabilmente smussati col tempo. Per ora va bene cosi, ma dal futuro, mi aspetto molto ma molto di più, perchè i margini di miglioramento sembrano enormi. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2018)
Voto: 75

https://obsoletetheoryband.bandcamp.com/releases

lunedì 13 agosto 2018

Lenore S. Fingers - All Things Lost on Earth

#PER CHI AMA: Gothic Rock, The Gathering, Anathema
Il secondo album dei calabresi Lenore S. Fingers uscito per la My Kingdom Music, conferma la linea intrapresa dal precedente 'Inner Tales', proponendo musica malinconica, piena di pathos con piccole digressioni progressive e incursioni mirate e controllate di metal gotico. La formula funziona alla perfezione e gli stacchi neo prog di "Rebirth" e della title track "All Things Lost on Earth", unite alla soave, decadente e romantica voce di Federica Lenore Catalano, completano un panorama sognante e cupo alla stessa maniera. Immancabile la vicinanza sonora con i The Gathering anche nelle lievi incursioni elettroniche (vedi la conclusiva "Ascension"), verosimilmente l'aver suonato con i Kirlian Camera deve aver avuto un certo effetto sulla straordinaria voce di Federica perchè il suo tono è sempre esposto al meglio, con una leggera venatura di nordic folk unita ad un tocco raffinato e di classe come poteva essere quello di Harriet Wheeler, regina dell'alternative britannico sotterraneo di fine anni ottanta/inizio novanta, e questo paragone è per me il valore aggiunto della band, che ha tra le sue armi, il potere e la volontà di riscrivere pagine di un genere abusato e per molti versi non più credibile. Così, arpeggi e voce in prima linea a costruire musica dalle tinte grigie, dall'umore triste, con chitarre distorte che escono al momento opportuno e il piano, colmo di note struggenti sul calar del post rock e del classicismo volto alla luna si uniscono per far uscire canzoni come "Lakeview's Ghost" o "Ever After" che simulano il piano di volo degli ultimi ancestrali Anathema. La vena di un gothic metal moderno e dinamico è sempre presente, la bravura dei musicisti si sente in ogni singola composizione, tra l'altro molto interessanti e ben sviluppate in un disco omogeneo ed interessante da ascoltare fino in fondo. Sorpresa sull'intro/ritornello in lingua madre di "Luciferines", anche se la resa migliore resta la lingua d'albione per questo tipo di approccio musicale. Una carrellata di brani ben studiati e sviluppati dove tutto è al posto giusto, buona la produzione che non spinge troppo sui canoni metal favorendo un ingresso naturale del cantato melodico anche nelle linee più dure mantenendo un'ottima naturale qualità d'ascolto. In quest'album niente è lasciato al caos nel nome dei maestri d'arme Novembre. La melodia e la malinconia sopra ogni cosa, uno splendido lavoro per una band in grande crescita. Consigliato l'ascolto. (Bob Stoner)

giovedì 17 maggio 2018

Deinonychus - Ode to Act of Murder Dystopia and Suicide

#FOR FANS OF: Black/Doom
Deinonychus is a quite well-known band in the black metal scene. The early inception of this band was founded in Brunssum (Netherlands) by Marko Kehrem, who is the only original member who still remains in the band, and Maurice Swinkels who is a member of the death/thrash band Legion of the Damned since its creation. As usual happens, there have been many line-up changes and currently the band consists of a trio, where Marko is accompanied by the former member Steve Wolz and Ulf Theodor Schwadorf, one of the members of the mighty band Empyrium. Deinonychus was pretty active during its first era, releasing seven albums until the band´s split-up in 2008. After years of silence, Marko has reformed the band, returning with an impressive new album entitled 'Ode to Act of Murder Dystopia and Suicide'. The new cd marks a new era for Deinonychus, though many elements contained in this album, could be recognizable if you listen to their previous albums. As many of you know, Deinonychus was initially a band firmly rooted in the black genre, though they evolved its sound to a more blackish/doomish metal sound, sometimes even with some degree of experimentation. In my opinion, this new opus brings back some elements from their earlier works, although it maintains the suffocating and depressing sound contained in their mid era albums. So, what is different this time? Well, 'Ode to Act of Murder Dystopia and Suicide' has a more dramatic, hypnotic and atmospheric sound. This more atmospheric approach is reinforced by some keys, courtesy of Ulf Theodor. The contrast between harness and atmosphere is evident from the first track “Life Taker”, which brings us the classic tortured and anguish vocals of Marko, and their trademark morbid guitars. The occasional keys increase the tenebrous and enthralling atmosphere of this track. Theodor´s work with the keys is awesome, he introduces simple but evoking melodies which shine every time they appear. Another fine example of this formula can be found in “The Weak Have Taken the Earth”, when the music suddenly stops and that piano simply freezes your soul with its dark beauty. This calm yet startling section is rapidly broken by Marko´s tortured vocals and some tremendously heavy and dark riffs. This song is simply flawless. The idea of mixing, sometimes at the same time, the keys with those agonizing voices is made a few times, mainly in the first half of the lp, and it is an idea that I really enjoy, being in my opinion a highlight of this album. The album has in general terms a quite slow pace, as we can expect from a black/doom album, fast paced sections are an exception like those we can find in the second half of “Dusk” and in the initial section of the closer “Silhouette”. This song summarizes perfectly the Deinonychus´s sound and its evolution. The track slows downs until the sound becomes crushingly slow, this is the moment where Marko´s desperate growls and shrieks sound more powerful than ever. A great way to finish this new work, the great return by Deinonychus, an opus that maintains a pretty good level from the beginning to the end, though I clearly prefer the first half where the keys appear mainly. I think Theodolf´s contribution is excellent and should be reinforced in the (hopefully) upcoming works. (Alain González Artola)

mercoledì 16 agosto 2017

In Tormentata Quiete - Finestatico

#PER CHI AMA: Avantgarde/Folk/Prog
Ecco il disco che non ti aspetti, la bomba pronta ad esplodere in questa afosa estate 2017. Gli In Tormentata Quiete son tornati, li conosco bene, avendo tutti i loro album, e dico mai e poi mai, mi sarei aspettato un comeback di questo calibro, pur avendoci abituato da sempre a lavori di una certa portata. 'Finestatico' è un cd che divampa immediatamente in tutta la sua furia nella bolgia black iniziale di "Zero", song mutevole nel suo portamento, capace in poco più di quattro minuti di offrire suoni estremi, echi progressivi, voci eteree femminili, un cantato in italiano e chi più ne ha più ne metta. Una song che evolve nella successiva "Sole" che, fatto salvo per i suoi rari vocalizzi estremi, è pura poesia per le orecchie, grazie alle sue splendide melodie e voci, cosi come al concept filosofico-astrale insito nelle note di questo brillantissimo album. È però con "R136a1" che si toccano apici di esaltazione in una canzone da cui è stato estratto peraltro un video, che sembra tracciare nel suo incedere il movimento degli astri allo zenit. Epicità, insanità, magia e malvagità sono solo alcuni degli elementi che si possono riscontrare in questa song cantata interamente in italiano che vede un break vocale nel mezzo che sembra uscito da uno dei primi album degli Aborym che fa da contraltare alle notevolissime vocals femminili della brava Irene Petitto. La splendida "Eta Carinae" parte piano, evidenziando ancora una volta le enormi capacità vocali della cantante, vera punta di diamante dei nostri, sebbene in alcuni acuti strizzi un po' l'occhiolino alle frontwomen di Nightwish o Evanescence. Questo l'unico punto di contatto però con le band più mainstream menzionate sopra, perché poi è nuovamente la poetica della band bolognese ad emergere, miscelata ad un sound dalle tinte avanguardistiche, folk (per l'uso di alcuni strumenti tipici), mediterranee, prog, cantautorali (per il contenuto lirico davvero particolare), tutte peculiarità che alla fine rendono la proposta degli In Tormentata Quiete, unica nel suo genere. Il nostro viaggio intergalattico prosegue nella Costellazione del Cane Maggiore con la poetica siderale di "Sirio", che unisce ancora divagazioni folkloriche, grandiose melodie, stacchi psichedelici e la triade vocale che tra screaming vocals, voci pulite maschili e femminili, regala ancora momenti di elevatissimo lirismo e teatralità. “RR Lyrae” sembra un surreale dialogo tra due stelle dai connotati umani, due amanti che si sussurrano dolci parole di sconfinato amore, in una song sublime nuovamente a livello lirico, soprattutto per chi come il sottoscritto, è amante di astronomia. Siamo scivolati fino all'ultima ambientale "Demiurgo", dove delle liturgiche vocals, maschili e femminili, chiudono un album maestoso, elegante, suggestivo, sospinto da un'eccitante energia cosmica capace di renderlo incredibile ed imperdibile. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2017)
Voto: 90

https://intormentataquiete.bandcamp.com/

lunedì 24 luglio 2017

Ecnephias - The Sad Wonder Of The Sun

#PER CHI AMA: Gothic Rock
È ufficiale, la trasmutazione degli Ecnephias è ormai completata. 'The Sad Wonder Of The Sun' è il sesto album della band lucana e ci dice che ormai le distanze dalla scena ellenica sono ormai prese. Mancan e soci propongono oggi un gothic rock tinto di atmosfere horror che con il sound estremo degli esordi che strizzava l'occhiolino ai Rotting Christ, condivide solo i pochi vocalizzi growl del frontman. Nove le tracce a disposizione per i nostri per convincerci della bontà della loro nuova proposta musicale, che si apre con "Gitana", una song che immediatamente mi ha rievocato le atmosfere di "Mephisto" dei Moonspell, anche se quello degli Ecnephias è un sound decisamente più morbido di quello contenuto in 'Irreligious', sostenuto poi da una performance vocale completamente in pulito e da un blando flusso sonico che s'irrobustisce solo negli ultimi 30 secondi. Quello stesso flusso prosegue nella sinistra "Povo de Santo", un pezzo un po' meno compassato rispetto all'opener, e che vede dietro al microfono come guest star, Raffaella La Janara Cangero (che comparirà anche in "Quimbanda") ad affiancarsi al growling sempre riconoscibile di Mancan, in una song stracolma di groove, dalla melodia fischiettabile e caratterizzata da un ottimo coro. Suoni dal forte sapore ottantiano contraddistinguono invece la flebile ritmica di "Sad Summer Night", song spettrale nella sua componente tastieristica, che vede il vocalist lucano manifestarsi nella sua doppia veste pulita-growl mentre a livello strumentale, il quintetto potentino regala un preziosissimo break di chitarra ed un assolo che sprigiona eleganza allo stato puro. Un riffone che sembra invece provenire da un qualche disco thrash degli anni '80, apre in modo inatteso "The Lamp", ma le keys ne smorzano immediatamente l'irruenza in una song lineare, melodica, piacevole ma forse un po' troppo scolastica. Sembra invece di trasferirsi in una qualche spiaggia caraibica con "Nouvelle Orleans", complice una inedita musicalità reggae tutta da scoprire, che ci mostra la band nostrana sotto una nuova luce, e con la voce del buon vecchio Mancan che emana un calore simile a quello che l'effetto di un paio di cicchetti di whiskey o meglio ancora di rhum potrebbero avere sulle corde vocali. Bel risultato devo ammetterlo, anche se sia ben chiaro, "scurdámmoce 'o ppassat" degli Ecnephias visto che oggi sono una realtà completamente diversa da quella dei loro esordi black death e in continua evoluzione rispetto anche alle ultime uscite. Le atmosfere horror tornano sovrane in "A Stranger", una traccia squisitamente spettrale nel suo incedere severo. Sembrano richiami a The Cure e Fields of the Nephilim quelli che sento in "Quimbanda", la song più dinamica del disco (soprattutto nel finale movimentato tra elettronica e heavy classico), che ripropone la vocalist dei La Janara al microfono e che finalmente vede Mancan tornare a cantare, in alcuni tratti, anche in italiano (che francamente  prediligo), cosi come nella successiva "Maldiluna", in uno strano connubio tra elettronica, suoni mediterranei, rock, dark e techno music che mi disorienta non poco. A chiudere questo eclettico 'The Sad Wonder Of The Sun' ci pensa "You", ultima dimostrazione di quanti e quali rischi si siano presi gli Ecnephias in quest'ultima loro fatica, proponendo un mix tra Paradise Lost e Type o Negative riletti in chiave pop rock, con il supporto di ottimi arrangiamenti. Che altro dire se non constatare la progressione di una band che non si è mai arresa di fronte alle avversità, che ha costantemente cercato di evolvere il proprio sound anche rischiando non poco di andare contro ai vecchi fan. Solo per questo valgono il mio rispetto, poi a parlare per loro c'è anche la storia. Alla fine però 'The Sad Wonder Of The Sun' lo si può amare o detestare, questo non toglie l'egregio lavoro fatto dai cinque musicisti italici, che quatti quatti potrebbero rischiare addirittura di divenire i leader di un nuovo movimento gotico mondiale. (Francesco Scarci)

martedì 18 aprile 2017

Infernal Angels - Ars Goetia

#FOR FANS OF: Black, Dark Funeral, Mgła, Belphegor
Italian melodic black metallers Infernal Angels feature plenty of glimpses of pure aggression that are blended into parts of mournful, disturbing sonic extremity with sudden melodic grafts throughout here which produces a fine Scandinavian angle to the music. The album is based mostly on tight, ferocious tremolo riffing that produces a strong, thunderous base for the rest of the music to offer the frantic tempos and patterns featured throughout here. Generating plenty of intensity with the blistering drumming while remaining firmly aware of the tight, frantic buzzing melodies blazing alongside the raging music featured here, and overall there’s a solid amount of work displayed here that makes for a wholly enjoyable time. The one main problem with this one arrives in the fact that there’s just not a whole lot of deviation in the music which has a ton of opportunities to express any kind of variance here yet it doesn’t really offer that here. It’s all pretty much the same general buzzing tremolo melodies and rather tight, same-sounding rhythms for the most part, and that does tend to lower the impact of the album when it’s almost impossible to figure out where on the album you are. Still, the tracks here aren’t all that bad here. Once this gets past intro ‘Amdusias: The Sound of Hell,’ there’s quite a lot to like here as ‘Vine: Destroyer of the World,’ ‘Purson: Matter and Spirit’ and ‘Bael: The Fire Devour Their Flesh’ feature these in rather impressive, explosive manners. As well, ‘Asmoday: The Impure Archangel’ and ‘Paimon: The Secret of Mind’ drop a lot of the intensity and go for more mid-tempo melodies to really give this a bit of variation. Still, that doesn’t detract from the main flaw in this one. (Don Anelli)

(My Kingdom Music - 2017)
Score: 80

https://infernalangels.bandcamp.com/

giovedì 24 novembre 2016

Dperd - V

#PER CHI AMA: Dark Wave
Siamo alla quarta prova in studio per i Dperd, duo dark wave siciliano dall’impronta eighties, attivo ormai dal 2008. L’opera si chiama 'V', un titolo criptico e ancestrale, forse a richiamare l’armonica convergenza tra i valenti animi artistici di Valeria e Claudio: lei sensibile autrice e cantante, lui raffinato musicista e compositore. I due musicisti sono maturi e preparati avendo alle spalle una lunga carriera musicale. Hanno infatti già dato alla luce il progetto Fear of the Storm, a cui sarà dedicata 'Madness Splinters 1991-1996', prossima uscita autunnale edita dalla label My Kingdom Music in una splendida versione deluxe contente la discografia completa di entrambe le band oltre a vario merchandise, dalle t-shirt alla shopping bag. Ma concentriamoci ora su 'V', partendo stavolta direttamente dal mio pezzo preferito, “I Believe In You Song”. Si tratta di una ballata eterea e fiabesca che incarna una di quelle storie oscure e visionarie così suggestive e ipnotiche da poter potenzialmente portare l’ascoltatore in uno stato di trascendenza onirica. Per di più, la canzone sembra essere la prima parte di una trilogia nascosta, costituita dalla appena citata “I Believe In You Song”, “But I Love You Song” e “They Do Know Song”, che chiude l’opera. Oltre ad un tocco originale nell’architettura della tracklist, si tratta anche di un concept musicale dotato di un inizio, uno sviluppo ed una conclusione, fatto di trame armoniche e melodiche, dove la voce non utilizza parole ma solamente suoni. Dall’atmosfera incantata della prima parte si passa ad un ambiente ritmicamente più incalzante ed armonicamente complesso nella seconda parte. La triade culmina nel finale, dove i vocalizzi di Valeria diventano arditi ed espressivi e il mood determinato e risoluto. Non solo la musica è di ottima fattura ma anche dal punto di vista lirico, siamo davanti ad un’opera di un certo spessore: l’utilizzo dell’italiano è un evidente punto di forza del progetto, non è infatti cosa da tutti i giorni sentire la nostra lingua utilizzata in un genere così particolare. Si prenda ad esempio “Cercando Solitudine”, una poesia ermetica dai toni tetri declamata da una voce sicura e calda che si adatta perfettamente alla ritmica soffice ed ai suoni di organetto e delle chitarre impregnate di chorus, a ricordare i leggendari The Cure. Dopo l'indiscutibile bellezza e l'indubbia qualità della proposta dei Dperd, veniamo ora a quella che secondo me è la macchia su questo lavoro esemplare, vale a dire la parte grafica. Se il disco musicalmente e poeticamente prende ed interessa, altrettanto non si può dire dell’artwork. Oltre ad essere discutibile la scelta dei font, anche l’immagine di copertina non ha la stessa profondità e potenza comunicativa della musica. Il soggetto è invece coerente col disco: un balcone affacciato sulla desolazione di un orizzonte montuoso sotto un cielo grigio, centra esattamente lo stile della band. In conclusione, consiglio l'ascolto di 'V' a tutti gli appassionati della dark wave anni '80, qui troveranno una band con lo stesso spirito di quegli anni ma calata nella modernità del 2016. (Matteo Baldi)

(My Kingdom Music - 2016)
Voto: 75

https://dperd.bandcamp.com/album/v

mercoledì 2 novembre 2016

Lord Agheros - Nothing At All

#PER CHI AMA: Dark/Folk/Ambient
Era il 2008 quando recensii per la prima volta i Lord Agheros, in occasione del loro secondo cd, 'As a Sin', dove li indicai come band dal futuro assai promettente in territori black ambient. Oggi, a distanza di otto anni, mi ritrovo fra le mani il disco numero cinque della one-man-band catanese, sempre egregiamente guidata da Gerassimos Evangelou, che ha preso definitivamente le distanze da quegli epici esordi. 'Nothing at All' conferma comunque quanto di buono fatto dal polistrumentista siciliano in passato, proponendo un disco dalle oscure tinte gotiche, che mostra tuttavia qualche passaggio a vuoto che mi abbia lasciato un po' perplesso, anche se non si tratterà di nulla di cosi grave. L'album inizia come se si trattasse di una proiezione cinematografica, con tanto di rumore del proiettore e della pellicola che vi scorre dentro. Poi è il suono malinconico di un pianoforte a subentrare, pianoforte che sarà il vero protagonista di questa release. Dopo l'intro infatti sono ancora i tocchi di piano che aprono "Lake Water", qui accompagnati dalla voce suadente di Federica Catalano, vocalist dei Lenore S. Fingers, in una traccia decisamente autunnale, in un incedere dark ambient alquanto decedente. Un evocativo interludio di folk mediterraneo, corredato da voci corali e poi è lo strimpellio di una chitarra acustica ad introdurre "No More Rules", in cui forse per la prima volta, appare il riffing della chitarra elettrica, in una song interamente strumentale. In "Life and Death" è forte il rimando nelle sue linee melodiche, alla colonna sonora di Blade Runner, ma a stonare, e qui nasce la mia perplessità, è la scelta di utilizzare un riffing più corposo e pesante, che si discosta dai pezzi fin qui ascoltati, e che va a spezzare quell'aura magica e spirituale fin qui creatasi. La cosa si ripete anche nella successiva "The Day to Die", altra traccia che ho sentito scollegata dal resto delle composizioni, ancora una volta a causa di un rifferama particolarmente marcato che a mio avviso stona in un disco che aveva imboccato una strada completamente diversa. Qui risiedono i miei dubbi, non tanto per una qualità musicale scadente, piuttosto per l'idea di utilizzare un approccio musicale che sin qui e da qui in poi, trova meno punti di contatto con il flusso sonico creato dall'artista siculo. Tant'è che la pioggia e il pianoforte di "On the Shore" ripristinano quell'alone di misticismo e forte malinconia, nuovamente spezzati dai riffoni thrash metal di "Idiocracy", sulle cui marziali note si installeranno poi i discorsi di alcuni presidenti degli Stati Uniti ma anche le voci angoscianti di Hitler e Mussolini, in una song più provocante che piacevole d'ascoltare. Il suono degli elementi naturali torna ad aprire in "What We Deserve", con le onde del mare e il soffio del vento che, in compagnia di pianoforte e violoncello, regalano sofferenti attimi di tristezza. Ancora sonorità classiche con il lirismo di "Final Thoughts", traccia raffinatissima che col metal non ha nulla a che fare, cosi come la conclusiva title track che, nello spazio di un minuto e mezzo, suggella l'onorevole prestazione dei Lord Agheros, sulle parole del drammaturgo inglese William Congreve. Peccato solo per quegli episodi troppo metallici per un simile album, che rischiano di spiazzare e non poco l'ascoltatore. Rischieremo poi di essere qui a parlare di un capolavoro in pieno stile Dead Can Dance, ma direi che c'è ancora tempo per calibrare il tiro e raggiungere le vette del duo anglo australiano. (Francesco Scarci)

martedì 29 settembre 2015

Apneica - Pulsazioni... Conversione

#PER CHI AMA: Post Metal/Death Doom
L'underground italiano c'è ma non si vede. Sebbene la scena sembri alquanto statica, vuoi per l'assenza di locali, vuoi perchè le poche case discografiche preferiscono puntare su band straniere, c'è ancora chi crede nelle realtà di casa nostra. Da sempre la My Kingdom Music (e ora la sua sottoetichetta Club Inferno Ent.) tiene le antenne alzate e oggi pubblica il secondo lavoro degli Apneica, un 4-track EP interamente cantato in italiano che propone un death doom di caratura internazionale che sembra fondersi con un genere alquanto distante, il post metal. Strano infatti respirare le atmosfere rarefatte del doom dei My Dying Bride con l'alternanza vocale pulito-growl che trova modo di muoversi attraverso ritmiche che sembrano prese in prestito dai Cult of Luna. Cosi si presenta infatti "Alba Artificiale", pezzo evocativo dove mi suona parecchio strano sentire un growling minaccioso interamente cantato in italiano e dove a tratti mi sembra anche di risentire i Klimt 1918 degli esordi che si mischiano con gli Isis. Strano no? Interessante quindi questo connubio, a cui inevitabilmente dovrò farci l'orecchio per l'accostamento alquanto anomalo. E "Assenza di Gravità" segue a ruota, con Ignazio Simula dietro al microfono che, in versione pulita, sembra avere ancora ampi margini di miglioramento, mentre in versione gutturale dà prova di grande maturità. Ma è la musica a destare il mio più vivo interesse, visto che si muove sinuosa tra territori doom e divagazioni post, non dimenticandosi peraltro di una certa componente malinconica in pieno stile Katatonia, come palesato nell'incipit di "In Orbita". Poi qui si piomba nelle tenebre di un sound minimalista che sfocierà in un death doom melodico meditativo e intenso, grazie ancora alla performance oscura del bravo Ignazio, che nelle clean vocals si sforza di emulare quella di Aaron Stainthorpe, frontman dei My Dying Bride. La conclusiva title track è un pezzo strumentale, retaggio di ciò che erano gli Apneica agli esordi, una realtà dedita a introspettive sonorità strumentali. Esperimento riuscito. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2015)
Voto: 75

giovedì 19 febbraio 2015

L'Alba di Morrigan - The Essence Remains

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Rock/Alternative, Katatonia, Novembre
Pelle d'oca, esaltazione e nodo alla gola. Quanti di noi possono dire di aver mai provato tali sensazioni ascoltando musica? Personalmente, durante i concerti più belli della mia vita, oppure ascoltando il nuovo album delle band che preferisco. Ma provarlo così, inaspettatamente, aumenta a dismisura l'esperienza sensoriale ed emozionale. Quando il lettore cd va a leggere le prime note di questo 'The Essence Remains' ti rendi conto che hai tra le mani qualcosa di speciale e allora ti lasci avvolgere dai quarantasette minuti che seguono, in caduta libera. La band nasce a Torino nel 2008 e dopo qualche cambio/assestamento di formazione, si consolida con gli attuali cinque membri che hanno dato vita al primo demo 'The Circle' nel 2009 e infine l'album in questione. Il sound si posizione tra post rock e alternative metal, ma quello che colpisce subito è la qualità della proposta, la minuziosa ricerca fatta per suonare ed incidere quelle precise sensazioni che la band regala dal vivo. Un mix tra Katatonia (hanno collaborato con il loro tastierista e questo spiega molte cose), gli ahimè scomparsi Novembre e gli Anathema. "Snowstorm" è una ballata lieve e leggera come fiocchi di neve che si appoggiano a terra senza fare rumore, tra arpeggi profondi di chitarra e il cantato che sussurra una ninna nanna che ci faccia dormire per sempre tra braccia calde. La ritmica non è scontatamene lenta, anzi, batteria e basso si intrecciano e si rincorrono sempre leggeri, ma decisi. In "Lilith" inizia a prendere forma la parte più aggressiva della band: il brano infatti è introdotto da un riff di chitarra, leggermente acido nel suono o comunque che ricorda le distorsioni di qualche anno fa. Il testo è in italiano e gli arrangiamenti sono sempre all'altezza, ben strutturati e che scorrono fluidi come l'acqua di un ruscello. Il riff iniziale ritorna e spezza brevemente la struttura di arpeggi e assoli, permettendo al brano di riprendere il suo mood iniziale. "24 Megatons" racchiude l'anima dei L'Alba di Morrigan fatta di dolcezza e decisione, una duplicità che convive perfettamente in un brano dove fraseggi puliti e cristallini aprono la via a riff potenti che sembrano ancora più decisi proprio perché vengono circondati da tutto in poco più di quattro minuti, ma sono sufficienti per apprezzarne ogni singolo cambio di direzione, come i passaggi math rock, dove la ritmica si protrae in una sequenza chirurgica e cadenzata. Solo alla fine ci si rende conto che è un brano strumentale, ma il lavoro fatto è talmente complesso e ricco di sfumature che sarebbe stato praticamente impossibile infilarci una linea vocale. Un ottimo lavoro questo 'The Essence Remains', peccato solo averlo recensito con qualche anno di ritardo. Personalmente avrei sperato in un suono più potente, ma si percepisce ogni singola vena di speranza ed emozione che solo una band matura e valida può condividere e trasmettere così bene. (Michele Montanari)

(My Kingdom Music - 2012)
Voto: 85

sabato 24 gennaio 2015

Ecnephias - S/t

#PER CHI AMA: Dark/Gothic, Moonspell, Paradise Lost, Type O Negative 
'Ecnephias' è il quarto album che vado a recensire dell'omonima band lucana. Potrete quindi intuire la mia conoscenza dell'act nostrano, l'aver potuto apprezzare la loro progressione musicale sin dagli albori, e averne pertanto individuato pregi e difetti nel corso di questi ultimi anni. Potrete anche immaginare quanto fosse elevata la mia attesa per ascoltare il seguito di 'Necrogod', lavoro che vide una leggera flessione rispetto al precedente 'Inferno', album che fino a oggi costituisce il mio preferito nella discografia della band potentina. Con questo nuovo lavoro, il quinto per Mancan e soci (oltre a due EP), credo che dovrò rivedere un po' le mie preferenze. 'Ecnephias' raccoglie 13 pezzi, che includono un'intro e un outro. "The Firewalker" è la song che presenta la musica targata 2015 del quintetto di Potenza e il ruggito di Mancan, conferma l'ottimo stato di salute dei nostri, che tornano con un dark sound mediterraneo, che strizza l'occhio indistintamente a est (Rotting Christ e Septic Flesh) e ad ovest (Moonspell), soprattutto facendo valere la propria caratterizzante personalità. Il brano si muove su ritmiche un po' più pesanti rispetto al lavoro precedente; non mancano di certo aperture ariose, cambi di tempo repentini e la voce del carismatico frontman si dibatte tra il suo inconfondibile growl e le altrettanto singolari clean vocals. Ottima la sezione solistica, con il finale che sale di intensità, nonostante possano spiazzare le minacciose ambientazioni horror. Mica male per essere la prima traccia. "A Field of Flowers" vede Mancan prendere a modello il compianto Peter Steele (Type O Negative), con la sua profonda tonalità vocale, in una traccia dai contorni meno roboanti della opening track, ben più meditativa e dalle linee melodiche più malinconiche, soprattutto a livello dei solo. "Born to Kill and Suffer" si apre proprio con le parole che ne formano il titolo in una song che a tratti potrebbe anche sembrare una semiballad, non fosse altro per i vocalizzi graffianti del sempre più bravo Mancan. E' proprio vero, il vino invecchiando migliora e cosi il sound degli Ecnephias si arricchisce ogni volta di nuove sfumature e influenze, che comprendono oltre ai sopracitati anche gli ultimi Paradise Lost. Gli Ecnephias sono maturati ancor di più con questa nuova release targata My Kingdom Music, e lo si evince anche dalle successive "Chimera", "The Criminal" e "Tonight", tracce dotate di ottime parti orecchiabili, squisiti arrangiamenti e un utilizzo di tutti gli strumenti quasi sublime. Fantasiosa la miscela chitarra/tastiere nella prima delle tre, con quel suo mood quasi orchestrale (qui la performance di Mancan è al top). Più spettrale la seconda e decisamente più intimista la terza. Mentre ascolto le canzoni però rifletto se l'utilizzo del growling di Mancan, talvolta con i volumi che coprono quello dei singoli strumenti, sia ancora adeguato a rappresentare la proposta musicale degli Ecnephias, che pur mantenendo una certa aggressività di fondo, vira il timone verso lidi più orientati al gothic/dark. Questa non vuole essere una critica per la band, anzi, potrebbe essere un nuovo punto di partenza per aprire la propria musica a masse più estese. 'Ecnephias' è un album che mi ha conquistato sin dal suo primo ascolto, coniugando alla perfezione quanto di meglio Moonspell, Paradise Lost e Rotting Christ hanno concepito negli ultimi anni, con le influenze dei nostri che si estendono poi alle tetre ambientazioni di Type o Negative o quelle ancor più tenebrose dei Fields of the Nephilim ("Wind of Doom" ad esempio, con quella sua magnetica linea di basso e il suo feeling psichedelico, bellissima). Nel frattempo all'ottava traccia, "Lords of the Stars", mi domando se risentirò più il cantato in italiano del vocalist baffuto. Eccomi accontentato "...alla corona dell'anno, nei giorni cadenti di ottobre, la luna d'ambrosia risplende, oscura, sinistra e potente e vengo a te o dio...". Se dovessi visualizzare la traccia nella mente, la immagino come l'ululato disperato di un lupo nella notte in fronte alla luna. La song la eleggo quasi d'istinto mio pezzo preferito, per suggestioni, suoni vellutati e sinistra magia. Anche nell'altrettanto notturna "Nyctophilia", viene utilizzato il cantato italico (e da qui fino alla fine), in una traccia dai forti richiami gothic anni '90. "Nia Nia Nia" già dal titolo rimanda a risvolti popolari, chissà poi se sarà vero. E infatti non sbaglio: le linee di chitarra che ne guidano la melodia e il cantato, delineano una song dal piglio etnico della tradizione lucana e qui nella mia mente si configurano feste di paese con gente che balla; poco importa poi se Mancan si mette a cantare in growl, ormai con la mente vago tra le feste paesane della bellissima regione che ha dato i natali ai nostri. Con "Vipra Negra", la traccia che ne ha visto anche il ciak video, riavverto quei sentori dei Litfiba primordiali che avevo già sottolineato in 'Necrogod' e che in questo lavoro, si avvertono indistintamente nelle chitarre. La song impreziosisce ulteriormente un album, che a tutti gli effetti definirei il migliore dell'intera discografia degli Ecnephias, anche grazie al simbolismo occulto esposto nella cover cd. 'Ecnephias', il cosiddetto lavoro della maturità per una band che merita tutta la vostra considerazione. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2015)
Voto: 90

lunedì 20 gennaio 2014

Dragonhammer - The X Experiment

#FOR FANS OF: Power Metal, Rhapsody, Timeless Miracle
Even though flowery Italian power metal tends to be scoffed at a lot by purveyors of more extreme music within metal, I actually kind of like it as a concept. Because it is referred to as "heavy" metal, some may be under the misconception that anything on the lighter spectrum of things within metal should be excluded due to the lack of the same grit or intensity metal is (apparently) SUPPOSED to have. However, I don't really have this preconception coming into music in general, in fact, I seek out the most delicate and beautiful sounding moments in music I can find most of the time. For this reason, I can listen to Rhapsody (of fire?), Balflare and Timeless Miracle among a few select others from time to time and they don't sound nearly as out of place in their poppy, saccharine splendor as they might for someone who primarily listens to black, death and heavier doom. It's also for this reason that my eventual problem with 'The X Experiment' isn't necessarily that it's too syrupy and flowery; no, my issue is actually that the album isn't quite flowery enough. The underlying structure of the album is well-crafted in its own right. The songwriting isn't anything revolutionary, but it makes sense, and that's probably a little more preferable for me when it comes to power metal. The guitars come out in a clean and clear tone and the bass is actually present, although it never comes into its own enough to be overtly recognized either way. The drums are a tad dry and clinical, but it never gets to the point where it really starts to annoy you. On the whole, this album is well put together; sure, there are a lot of references to common songwriting tropes of Italian power metal but, well, this is Italian power metal. What exactly were you expecting? This stuff is about refining and perfecting what's already there, not reinventing the wheel. The cliched nature of the album only becomes a hindrance to its quality when there's no speed and overblown energy to supplement the riffing, and Dragonhammer will only play something of a significantly faster tempo to either provide an enticing (and misleading) introduction, close out a song, or segue into a solo. The riffs frequently sound as if they're struggling to keep up with the drums and/or keyboards and often seem to have to resort to more simplistic riffing measures as a result. A good deal of the meat riffing in the verses is comprised of monotone tremolo with no extra dimensions to it. I'd like to say to say the melodically pleasing but sometimes trite and cliched guitar leads are just the result of an older guitarist comfortably playing below his skill level, but having not heard any of this band's previous albums, These songs don't make me very confident he has the chops to perform anything more intricately composed than 'The X Experiment' to begin with. The extensive focus on slower balladry and ominous, thorough intros by the keyboards into the choruses and solos makes the idea that this album is guitar-based come into question. When you stop making riffs the main feature of my metal, you're gonna start to run into some problems. Fortunately, the keyboards are handled well enough that Dragonhammer can get away with the guitars residing more in the shadows than a listener of this style might be accustomed to. They often provide much more to grasp at in terms of melodies with texture than the guitars do; just examine the beginning of "Escape" to see an example of this. The keyboards will often play the primary melody while the guitars become the rhythmic base. The reliance on the keyboards to carry the songs was a good decision to make, because the verses they craft are much more listenable and memorable than anything the guitars can put out. It's because of these keyboards that some of the choruses on 'The X Experiment' do get stuck in my head from time to time, although saying that they're the only thing making the album catchy would be giving not nearly enough credit to the vocalist. Over the time I've listened to this album, I've gone from thinking he has some good qualities to considering him outright awful to having some sort of weird fascination with his vocals to finally just considering him quirky and interesting but with a few really evident flaws. The natural rasp and vibrato that comes with his voice gives him a bit of character, but he's also really noticeably flat, especially when he goes into his higher register and lets out a wail that necessarily has to be at proper pitch to have its proper effect. Being consistently a half-step underneath the note he's trying to hit, a lot of Max Aguzzi's "big moments" on this album can fall flat as a result. The fact that I know they're supposed to be big moments is a result of good songwriting, but the choruses that get stuck in my head aren't always memorable for the right reasons. Sometimes the vocals stand out because his tone was significantly off, or perhaps it's because of his thick accent and odd lyricism. If we were being true to the pronunciation of the title in the actual song, this album would be titled 'The Sperimen Hex'. It's part of the reason Aguzzi has a somewhat adorable personality as a vocalist, but it also makes it much more difficult to take this album seriously. It's hard not to endlessly flip-flop when it comes to my enjoyment of this album. It's quite the infectious little bugger, but there's just not enough skill and personality present in the music to make it last and the honest enjoyment of the album can be somewhat deterred by how cheesy it is. If you can't get enough sappy ballads and galloping chugs in your life, you'll find 'The X Experiment' quite satisfying as it's a very professionally done album, but I can't bring myself to wholeheartedly recommend this to any group of people other than that. (RapeTheDead)

(My Kingdom Music - 2013)
Score: 50

https://www.facebook.com/dragonhammer

giovedì 13 dicembre 2012

Lord Agheros - Demiurgo

#PER CHI AMA: Black Ambient dalle tinte folk, primi Ulver, Summoning
Evangelou Gerassimos è colui che si nasconde dietro il monicker Lord Agheros, che ho iniziato a seguire (e recensire su queste stesse pagine) sin dal secondo lavoro “As a Sin”, che avevo indicato essere come uno dei più affascinanti prodotti usciti nel 2008. Dopo più di quattro anni, tra le mie mani sbuca la quarta release dell’artista siciliano, sempre targata My Kingdom Music, e sempre pronta a guidarci nei meandri della cultura mediterranea, enorme fonte di ispirazione per il mastermind siculo. “Demiurgo” è un album ambizioso che muove i suoi passi su un concept, diviso in due parti, che dovrebbero rappresentare le due facce dell’anima, il bene e il male. Queste due anime sono personificate dai figli di Erebo (l’oscurità) e della sorella Nyx (la Notte), divinità della mitologia greca, che sembrano apparentemente differenti, ma in realtà risultano unite da un unico nucleo, l’io. Il Demiurgo (il creatore dell’universo per Platone) è colui il quale può catturare le vibrazioni e trasformarle in musica, modellando il suo universo emozionale a sua immagine e somiglianza. Analizzato quello che è l’interessante background culturale del disco, meglio addentrarsi in quello musicale dove posso mostrare una maggiore competenza. Dopo un breve prologo, ci viene data la possibilità di conoscere da vicino tutti i figli del duo Erebo/Nyx, a cui sono dedicati i titoli delle canzoni. “Eris” (la discordia) mette immediatamente in luce (meglio in ombra in tal caso) la sostanza del lavoro, in grado di coniugare e bilanciare perfettamente, la malvagità di un black metal a tratti primitivo con elementi di epica intensità, parti ambient e copiosi momenti atmosferici. Non mancano neppure i richiami alla musica classica; “Styx” (l’odio) ne è un esempio, grazie a quei soavi tocchi di pianoforte che si alternano a sulfuree cavalcate black, in cui lo screaming ferale di Lord Agheros, ci accompagna nel suo delirante viaggio in 17 capitoli. Non starò qui certo a descrivervi ogni singola traccia, anche se il richiamo intrigante della mitologia svolge ampiamente il suo dovere, spingendomi a documentarmi ulteriormente per conoscere l’origine di “Thanatos” (la morte) in cui il factotum italico canta anche in italiano su un tappeto fatto di ruggenti chitarre, un martellante drumming e rapsodiche tastiere. “Moros” (il destino) ed il suo irresistibile potere in grado di modificare il futuro, mi conquista con le sue ancestrali melodie, che nella mia memoria rievocano i fasti di “Minas Morgul” o “Lugburz” degli austriaci Summoning. “Nemesi“ (la vendetta) nella sua intro ricalca “Kveldsfanger” degli Ulver, cosi com’era successo nel secondo capitolo della saga firmata Lord Agheros. Con “Lyssa” (il furore cieco) iniziano i momenti prettamente ambient dell’album, che si alternano comunque a schegge impazzite di black old school, sempre perfettamente orchestrato da Evangelou e sul cui feroce tappeto di nera lava, riescono a trovare spazio anche soavi vocalizzi femminili. La seconda metà, verosimilmente la parte “buona” del disco (o forse dovrei pensare a quella cattiva ed ingannatrice), vede i pezzi ridursi in fatto di durata dissipando del tutto la spietatezza, e lasciando quasi completamente lo spazio ad un liricismo più etereo, ad una musicalità scevra di violenza e in cui il folklore mediterraneo, emerge forte, dalle note del disco. Lo dicevo all’inizio che “Demiurgo” era un progetto estremamente ambizioso, ed ora che ne sono giunto al termine del suo ascolto, non posso che confermare il fascino ed il mistero che un prodotto del genere riesce ad infondere in chi lo ascolta, ma anche un pizzico di rammarico per non aver preso una maggiore distanza dai gorgheggi e dalle parossistiche galoppate black, che ormai non appartengono più al musicista catanese. Probabilmente si è un po’ giocato sul dualismo dei contenuti lirici del lavoro, e pertanto su quelli musicali e sull’inevitabile scontro bene e male, per non deludere musicalmente i propri fan, accontentare tutti o forse nessuno, non so, a voi la consueta ardua sentenza a giudicare una release che catalizzerà sicuramente il vostro interesse quanto è stato in grado di farlo col mio. Sofisti. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 75

http://lordagheros.bandcamp.com/music

martedì 24 luglio 2012

Rain Paint - Nihil Nisi Mors

#PER CHI AMA: Gothic Rock, Sentenced
Dai membri dei finlandesi Rapture, Fragile Hollow e Denigrate hanno preso vita i Rain Paint, band che raggiunse il traguardo del debutto discografico grazie all’allora giovane e ottima etichetta italiana My Kingdom Music. Se da una parte i Rapture hanno poi proseguito il tema musicale interrotto dai Katatonia dopo la pubblicazione del bellissimo “Brave Murder Day” e i Fragile Hollow si adagiarono su meste atmosfere gothic-rock, i Rain Paint potrebbero collocarsi a metà strada tra le due formazioni, cogliendone gli aspetti peculiari ma non riuscendo sempre ad amalgamare il tutto con la dovuta maestria. Il principale limite che ho riscontrato nell’ascolto dell’album è nelle parti vocali, a tratti piuttosto acerbe e "macchiate" da inserti growl che non trovo per nulla disprezzabili, ma che certamente sono fuori contesto per un tipo di musica come quella dei Rain Paint. Il gothic metal dei nostri vorrebbe emozionare con atmosfere romantiche e al tempo stesso vigorose, ma fallisce in questo intento per un songwriting ancora un po’ disorientato e delle soluzioni compositive che già altri gruppi come Sentenced, October Tide e The 69 Eyes ci hanno ormai riproposto in tutte le salse. “Nihil Nisi Mors” non è comunque un lavoro criticabile sotto tutti i punti di vista e alcuni brani come “Rain Paint” e “Freezes Day” proseguono senza intoppi, rivelando una discreta capacità del gruppo di dare corpo alla struttura generale dei pezzi e facendo trapelare l’esperienza accumulata dal principale compositore Aleksi Ahokas all’interno dei Prophet, band attiva fin dal 1997 e che prima del cambio di monicker in Fragile Hollow aveva già dato alle stampe un paio di mcd. Nonostante le credenziali del gruppo, “Nihil Nisi Mors” si rivelerà però un album che lascia parecchi punti interrogativi e la strana sensazione che permane dopo ripetuti ascolti è quella di avere a che fare con delle canzoni che, per quanto scorrevoli, siano ancora un po’ troppo immature per la pubblicazione di un full-length. Un lavoro senza infamia e senza lode, dunque, che non mette necessariamente in cattiva luce il nome della band, ma alimentò la speranza di ascoltare dai Rain Paint qualcosa di ben più convincente in occasione del successivo album. (Roberto Alba)

(My Kingdom Music)
Voto: 60

domenica 11 marzo 2012

Klimt 1918 - Undressed Momento

#PER CHI AMA: Dark Gothic, Novembre
Cosa dire di questo album se non che si tratta di un lavoro perfetto! Potrà sembrare sbrigativo liquidare in questo modo “Undressed Momento”, eppure vi assicuro che l'album mi lasciò di stucco e fatico quasi a trovare le parole per descriverlo, tante sono le emozioni che mi travolsero durante l'ascolto. Avevo conosciuto i Klimt 1918 un paio di anni prima di questo lavoro (era il 2001!) con il loro demo “Secession Makes Post-Modern Music” e già in quell'occasione penso si intravedessero delle doti non comuni nel gruppo romano, ma è proprio con “Undressed Momento” che il quartetto dimostra tutta la sua bravura. La band infatti non si è limitata a seguire la lezione impartita dai propri gruppi ispiratori ed ha rielaborato certe influenze metal in una collezione di ottimi brani dallo stile personale e dai contorni definiti. Gli echi di Edge of Sanity e Novembre si fanno ancora sentire, ma questa volta rimangono latenti nel songwriting e si accompagnano a sfumature pop prossime a Tears for Fears e The Police. Ciò che vi colpirà immediatamente appena verrete a contatto con “Undressed Momento” è la maturità della proposta musicale, cosa che personalmente trovo stupefacente se ripenso che il gruppo era al suo debutto. Quella perfezione compositiva che una band come i Novembre ha raggiunto attraverso quattro album pare infatti sia già una ben affermata qualità dei Klimt 1918. Cito i Novembre perché le due band hanno più di un punto che le accomuna, senza poi dimenticare che proprio Giuseppe Orlando e Massimiliano Pagliuso appaiono come guest-musician nel cd. Mentre la musica dei Klimt 1918 si diffonde nella stanza, posso allora riconoscere le stesse deliziose vibrazioni che album come “Wish I could dream it Again” e “Arte Novecento” mi avevano trasmesso qualche anno prima. Parlo di melodie fragili e carezzevoli che, accompagnate dalla bella voce di Marco Soellner, descrivono gesti di intima delicatezza, parlo di chitarre vibranti, come morbidi cerchi concentrici che si propagano lentamente nell'acqua. Tutto in questo album porta ad uno stato di immobile attesa e di attonita contemplazione. Sono attimi interminabili, interrotti solamente dai sussulti di un cuore inquieto. Tra le sagome incerte di un dipinto scorgo i guizzi vitali della passione, gli inganni di un sentimento acerbo che si dissolve e la musica di “Undressed Momento” accompagna queste immagini prima con dolcezza... poi con veemenza. Rimango estasiato davanti alla sorprendente facilità con cui i Klimt 1918 sanno emozionare e lascio che i colori tenui della loro musica si diffondano attorno a me, a confortarmi nelle mie notti più solitarie. (Roberto Alba)

(My Kingdom Music)
Voto: 90

domenica 22 gennaio 2012

Forgotten Sunrise - Ru:mipu:dus

#PER CHI AMA: Electro, Avantgarde, Death, Arcturus, Ulver
Con i Forgotten Sunrise pensavo mi sarei accostato ad una death metal band e in effetti è proprio in quel filone musicale che il gruppo estone si è fatto le ossa, pubblicando numerosi mcd durante l'intero corso degli anni '90. In “Ru:mipu:dus”, però, di death metal non vi è quasi più traccia e la nuova dimensione in cui il gruppo ha deciso di muoversi, non solo mette a dura prova qualsiasi tentativo di classificazione, ma lascia anche stupefatti per l'estrema disinvoltura dimostrata dai quattro musicisti nell'abbracciare svariati generi musicali e nel plasmarli in un insieme omogeneo di brani. Se di ibrido si può parlare, il termine va quindi inteso nella sua accezione positiva, vista anche la distanza che i Forgotten Sunrise mantengono da certe soluzioni pacchiane o da quelle scelte infelici in cui si è soliti incorrere quando diventano troppi gli ingredienti da mescolare assieme. Al contrario, le morbide venature darkwave, le eccentriche contaminazioni elettroniche e i retaggi vocali death metal diventano inebrianti flussi di emozioni, che si incontrano seguendo movenze sinuose ed eleganti. La flebile voce della cantante Tiiu Kiik conferisce inoltre un tono di cupo astrattismo all'intero lavoro, rendendo veramente speciali le note di brani visionari come ''Never(k)now” e “Vhatsoewer”. Personalmente, abituato come sono a grugniti di ogni sorta, non ho faticato ad apprezzare nemmeno il growling di Anders Melts, tuttavia, dovendo essere obiettivo, penso che quest'ultimo aspetto potrà costituire un ostacolo non indifferente per gli ascoltatori dai palati più fini. A loro mi rivolgo, invitando a non snobbare “Ru:mipu:dus” e a godere invece di canzoni giocose e bizzarre come “Surroundcosmos” o “Please Disco-nnect Me”, l'una illuminata da un irresistibile ritmo di pop latino, l'altra introdotta addirittura da una suoneria Nokia! Ottima anche “Thou-Sand-Men”, dove Anders si cimenta in un'interpretazione vocale molto vicina allo stile di Brendan Perry, dimostrando di esserne un emulo convincente e lasciando supporre un'influenza Dead Can Dance abbastanza marcata. Chiudo segnalandovi il video di “Never(k)now”, presente nel cd e disponibile pure sul sito della My Kingdom Music, dove potrete scaricarlo nella sua versione integrale. (Roberto Alba)

(My Kingdom Music)
Voto: 75
 

giovedì 1 dicembre 2011

Llvme - Fogeira de Sueños

#PER CHI AMA: Black/Folk Metal, Doom, My Dying Bride, Moonspell
Album di debutto per gli spagnoli di Salamanca “LLVME”. La band si forma nel 2007 e il nome dovrebbe significare “Fuoco” in una antica lingua spagnola (la, a me ignota, lingua delle terre del Leone). Il fondatore e guida risponde al nome di Nandu (tastiere, chitarra, voce, batteria) che con Lord Valius (voce), Oskar K-os (chitarre), e Nacho (basso) completano la line up. Altri musicisti partecipano per le parti di violino, di pianoforte e dei vari strumenti tipici. Il quartetto ci presenta un lavoro dagli svariati elementi: il folk, black metal, aspetti doom, death e i suoni delle terre spagnole del Leon. Passaggi brutali convivono piuttosto bene accanto a parti melodiche, il tutto avvolto da una atmosfera cupa e alquanto triste. Vi faccio una confidenza: un po’ mi fa arrabbiare questo disco. Sono portato a vedere di buon occhio chi sperimenta, altera, prova miscelare cose diverse. Ecco, questo lavoro ha molti spunti interessanti e abbastanza originali (non hanno inventato nulla di nuovo, per carità), ma d’altra parte a me suona sufficientemente vuoto e scontato. Immagino i vostri commenti: “Smettila con le sostanze obnubilanti, è originale o scontato?”. Vedete, alla fine quello mi resta è una sensazione di incompletezza. Probabilmente è difficile trovare un equilibrio tra la musica folk, piuttosto allegra, e quella lenta e triste black/doom. I nostri non sono riusciti a trovare questo equilibrio e, complici una certa linearità nella fase compositiva e una parte vocale non brillante, mi lasciano insoddisfatto. Mi sembra di aver già sentito mille volte quelle sonorità da altre parti e secondo me le influenze di gruppi come i “My Dying Bride” sono lampanti. Tirando le somme, se siete appassionati di folk/black metal dovreste apprezzare, altrimenti lasciate perdere. Sufficienza d’incoraggiamento per le bune idee mostrate. (Alberto Merlotti)

(My Kingdom Music)
Voto 60