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lunedì 7 ottobre 2013

HellLight - No God Above, No Devil Below

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Esoteric, Thergothon, Skepticism
HellLight atto terzo (per il sottoscritto), dopo le precedenti brillanti recensioni di “...and Then, the Light of Consciousness Became Hell...” e “Funeral Doom” anche se “No God Above, No Deilv Below” rappresenta in realtà la quarta release della band paulista. Da sempre fautrice di un sound claustrofobico all’insegna del funeral doom, il quartetto di San Paolo sfodera l’ennesima eccellente prova, nonostante le proibitive durate a cui, da sempre, ci sottopongono i nostri. L’album, che contiene sette tracce più un intro, affida i suoi umori subitamente alla lunga title track. La song ci lavora ai fianchi con il suo ritmo lento e ossessivo, in cui a trasudare è un profondo senso di cupa desolazione. Accanto ad una discreta robustezza delle chitarre, direi che è il lavoro alle tastiere di Rafael Sade a svolgere un ruolo di massima rilevanza. Di spessore poi la performance vocale di Fabio de Paula, sia nella veste tipicamente growl, che in quella pulita. Sottolineerei di questa traccia anche la sezione solista, in cui è sempre il buon Fabio a mettersi in luce, con una prova magistrale, quasi da famigerato top player calcistico. “Shades of Black”, cosi come pure le seguenti tracce, danno ampio spazio alla componente musicale, continuando quell’opera di ammorbamento che avevo già identificato nei precedenti lavori. Rispetto al passato, un più ampio spazio viene lasciato alle clean vocals che donano maggiore epicità al lavoro, soprattutto in rare ariose aperture, in cui il buon Fabio si lancia in cantati a squarciagola. Non ci sono sostanziali mutamenti rispetto ai precedenti lavori, il che certo non guasta, ma alla lunga rischia di stancare, se non siete proprio dei grandi fan del genere. “Unsacred” apre con un bel muro chitarristico sorretto da toccanti note di tastiera, e poi il nichilistico vocione del vocalist ci accompagna nella recondita oscurità delle tenebre. Le atmosfere si fanno ancora più rarefatte e deprimenti; un break ambient e poi un bellissimo assolo di chitarra fende le nostre teste. In “Legacy of Soul” il cantato si fa quasi sussurrato su una porzione musicale piuttosto minimalista, anche se dopo un paio di minuti l'act brasileiro rialza la testa, aggravando i toni e la componente emozionale della loro proposta. “Path Of Sorrow” è un’altra bella mazzata di puro pessimismo cosmico senza soluzione di continuità: un po’ Skepticism, Thergothon ed Esoteric, questa song incarna appieno lo spirito noir della band brasiliana. Chiudono il disco i 23 minuti del duo formato da “Beneath the Lies” e “The Ordinary Days” che ci annichiliscono definitivamente con le loro opprimenti melodie. Ancora una buona prova da parte del quartetto sud americano che da quasi vent’anni contribuisce a caricare di solitudine i nostri ascolti. Riconferma. (Francesco Scarci)